Com’è difficile gestire la vita di due persone

Chi pensa che la sua vita sia un casino dovrebbe provare a far convivere in una stessa persona due anime: diciamo, per esempio, quella del legale di banca e dello scrittore.
Cosa nasce, dal connubio? Una strana bestia, affine a certe creature mitologiche? Un balbettante schizofrenico alla Psycho? Niente di tutto ciò. La vita è compromesso, è adattamento alle circostanze. Altrimenti saremmo rimasti organismi unicellulari in fondo a una pozza di fango. Io e Giulio Rovedo (il bancario frustrato e ribelle protagonista di due miei romanzi) conviviamo felicemente, senza sgomitare o alzare la voce, nella stessa persona. Beh, felicemente è una parola grossa. Diciamo che è un condominio, e come tutti i condomini comporta problemi di convivenza. Come quando l’autore Avoledo viene invitato a presentare il suo ultimo libro da qualche parte, e il dipendente bancario deve ricordargli che ha finito i giorni di ferie. Per non dire di quando, alla fine di una riunione di lavoro, i presenti mi si avvicinano pregandomi di non riportare nel mio prossimo libro una qualche loro uscita infelice. Cosa che peraltro non farei mai: la realtà, come si dice, supera spesso la fantasia, e certe cose che ho visto e udito nel corso delle mie numerose e variegate esperienze lavorative verrebbero giudicate troppo incredibili e «romanzesche».
Fatto sta che i miei primi contatti con il mondo letterario sono stati caratterizzati da un’assoluta incredulità, da parte di certi «addetti ai lavori» disposti magari ad accettare che un milione di scimmie, battendo per un milione di anni su una macchina da scrivere, possano finire per scrivere un dramma di Shakespeare, ma non che un bancario possa produrre un romanzo. Figuriamoci cinque. I primi tempi mi difendevo evocando gli spiriti di Svevo e di Pontiggia, per non parlare di Kafka, che sicuramente costruì i suoi onirici castelli e tribunali partendo dai materiali della sua vita impiegatizia in una compagnia di assicurazioni. Poi ho capito che in realtà da almeno cinquant’anni a questa parte (cioè da quando si sono estinti gli ultimi esemplari di mecenate) nessuno scrittore, in Italia, a parte un ristretto manipolo di eletti, può permettersi di campare di letteratura.
La domanda che noi scrittori-lavoratori ci sentiamo poi fare spesso è «ma dove lo trovi, il tempo per scrivere?». La mia risposta è: «Scrivo con l’acqua alla gola. Scrivo in treno. Scrivo nei fine settimana, portando la famiglia sull’orlo della disperazione». Pensate che questo sia un handicap? Non lo è. Chuck Palahniuk, da quando scrive a tempo pieno, non ha più raggiunto le vette espressive di quando lavorava come meccanico in una fabbrica di camion, e spesso non riusciva a scrivere più di un paragrafo al giorno. La settimana scorsa ho inviato una mail a uno scrittore americano fra i più interessanti delle ultime generazioni, Jack Womack.

Gli ho chiesto come mai non pubblica un libro dal 2001. Mi ha risposto che sta scrivendolo, ma che con il suo lavoro a tempo pieno in una casa editrice può scrivere solo nei weekend. L’avessi avuto per le mani l’avrei abbracciato.

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