nostro inviato a Torino
Carolina non è quella con la pelle di farina, lo sguardo fisso verso non si sa bene che cosa, i capelli riordinati in fretta. Carolina non è quella che mastica un chewing gum e dondola sulla seggiola mentre le arrivano domandine facili facili dai giornalisti. Carolina è quella truccata, vestita, addobbata che fa la trottola sul ghiaccio, che posa furbastra per i fotografi in costume di scena, seduta, con postura un po lasciva, sulla panca dello spogliatoio, i pattini bianchi ai piedi, le gambe lunghe e sode, labito mini, la chioma sciolta sulle spalle a incorniciare lincarnato bistrato.
Carolina Kostner domani va in pista, a danzare, cercando loro. Sarà vestita di bianco da Roberto Cavalli per seguire la musica di Morricone (Mission), si metterà in nero, giovedì, per lInverno di Vivaldi (Quattro stagioni): «Penso che sarà importante partire bene, il primo passo è il più importante». Il primo passo, come lamore, non si scorda mai ma per lartista può rappresentare una trappola: «Non è detto che chi cade non sia un campione».
A diciannove anni pensa e parla come una donna matura, fin troppo matura. Ecco dove sta il problema. Acciuffarne il sentimento, capire dove incomincia e dove finisce, perché Carolina è una ragazza computer che risponde seguendo un itinerario preciso, secondo la lingua richiesta, senza salti di emozione, senza strappi alla regola: «Io ho diciannove anni e mi sento una di diciannove anni».
Infatti ribadisce che in caso di vittoria la prima telefonata sarà riservata a suo padre Erwin, senza tradire mamma Patrizia che con Erwin e i due fratelli di Carolina, Martin e Simon, hanno preso stanze a Torino per celebrare il rito. Una famiglia di ghiaccio, visti i precedenti di papà e mamma (Erwin, ex hockeista con 212 presenze in nazionale, Patrizia oggi maestra ma ex pattinatrice pure lei) un gruppo di ghiaccio pronto a sciogliersi, come farà Carolina quando stilisti, parrucchieri, truccatori la trasformeranno, diversa e bellissima, per lesibizione allOval. La teen ager, come direbbero quelli del Toroc, avrebbe una voglia pazza di incontrare Hermann Maier: «Perché è uno di noi, austriaco, è alto, grande, grosso e bravo. Bode Miller? Non male nemmeno lui ma Hermann è migliore».
Conta i minuti. Pochi per la stampa e lintrattenimento, molti per lavorare. Herr Huth, il suo allenatore tedesco, agita le braccia, vorrebbe spegnere i microfoni. Carolina dondola ancora. «Vorrei che tutti capissero che la vita non finisce giovedì, anzi continua. Continua con la scuola, continua con gli allenamenti. Non ho incubi, dormo serena, sogno le cose di sempre. Ho voluto stare lontana dal villaggio per evitare di pensare soltanto alla gara, perché a un certo punto non ne puoi più. Ho preferito circondarmi delle persone di famiglia, vivere a Oberstdorf, a casa mia».
Mentre Carolina si allena, a Torre Pellice, mentre Carolina danza allOval, le sue coetanee ballano e folleggiano a Torino, in piazza Castello passano cantanti e band: «Posso godere diversamente, quando mi alleno ci sono duemila persone che mi osservano. Non è questa una cosa bellissima? Eppoi i sacrifici di oggi mi verranno tutti restituiti». Parole di fede: «Sono cattolica, tutta la mia famiglia e il mio paese lo sono. Una volta andavo puntualmente in chiesa, adesso non trovo il tempo necessario, non prego ma dopo ogni gara ringrazio il Signore».
Ha visto gli azzurri vincere la velocità sul ghiaccio: «La vittoria più bella di tutte. Ha vinto la squadra, ha vinto il gruppo». Una cosa diversa dal ballo solitario. Carolina sgonfia linsinuazione: «Io sono soltanto lultimo passo di un cammino che coinvolge tutta la squadra che lavora con me. Non bastano determinazione e concentrazione, ci vogliono anche abilità e fortuna. Ho scelto una musica che andasse bene con la linea del mio corpo e la linea sul ghiaccio. Temo lIryna (la moscovita Sluskaia) ma sto bene e sono serena».
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