Comitati e associazioni, quando la protesta è un lavoro

A Milano ce ne saranno un centinaio o poco più. Di comitati e associazioni di cittadini che si sono riuniti in gruppo per portare avanti le proprie rivendicazioni contro le decisioni dell’amministrazione comunali a colpi di esposti, diffide e denunce. L’ultimo atto di questa battaglia, firmata dall’associazione ProArcoSempione, è costato al sindaco Moratti l’iscrizione nel registro degli indagati per omissione in atti d’ufficio per il caos delle ore piccole all’Arco della Pace. Aspiranti politici che hanno tentato la corsa alla scorsa tornata elettorale candidandosi nelle liste dell’opposizione e sono rimasti fuori, compagne di ex rappresentanti di centrosinistra delle istituzioni cittadine e liberi professionisti. Quelli che sono disposti a tutto pur di cambiare il volto della città, «ma non nel mio giardino» e manager e dirigenti d’azienda in pensione. Eccoli i «capipopolo», chi fa parte di questi gruppi che si sono divisi la città a suon di proteste.

E che hanno fatto della contestazione un secondo mestiere, o quasi e che riescono ad avere un seguito di migliaia di persone per quartiere. «Alcuni di loro usano il comitato per farne un motivo di consenso politico» spiega l’assessore alle attività produttive Giovanni Terzi.

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