Il commento Il caso Poste e la «mancata chance» che Olivetti non pagherà

Forse il mondo non è come lo vediamo. Potrebbe essere diverso. E tutti possiamo aver tolto delle opportunità ad altri che, invece, nel mondo parallelo del forse potrebbero aver guadagnato moltissimo denaro, quindi tocca pagare.
È la logica della nostra giustizia, che per tramite di uno dei suoi magistrati migliori (a detta del Consiglio superiore della magistratura) ci ha presentato una nuova realtà, quella del doppio forse. Non credo sia ancora risultato ben chiaro ai più che il più alto risarcimento nella storia d’Italia è stato deciso da un signore sulla base di due pure supposizioni: si è infatti immaginato che Berlusconi, se pur nemmeno processato per il «Lodo Mondadori», per quella stessa vicenda fosse stato colpevole penalmente, e da ciò si è ipotizzato un futuro alternativo sulla possibilità del quale stabilire un risarcimento record. Questo modus operandi apre la strada a possibilità infinite. Prendiamo ad esempio l’antagonista di Berlusconi, il proprietario di Repubblica Carlo De Benedetti. Negli stessi anni in cui si svolgevano i fatti della guerra per la Mondadori, la sua Olivetti si aggiudicò un’enorme commessa dalle Poste per la fornitura di apparecchiature varie e telescriventi ormai obsolete. Come la ottenne? Semplice, pagando dirigenti con dieci miliardi di lire. Lo ammise lo stesso De Benedetti in un celebre memoriale dove confermò che i soldi erano stati effettivamente versati, ma d’altra parte alle Poste «tutti i fornitori dovevano pagare». Il dirigente Cherubini dell’Olivetti ricordò così il sistema: «Io stilavo volta per volta un biglietto che conteneva l’indicazione dell’importo e il numero di conto estero indicatomi da Lo Moro, chiedevo autorizzazione all’ingegner De Benedetti e trasferivo il biglietto alla direzione amministrativa di Ivrea la quale provvedeva all’operazione».
Poi tutto si impantanò nei palazzi di giustizia e fra proscioglimenti e prescrizioni De Benedetti non venne mai rinviato a giudizio. Ebbene, i concorrenti dell’epoca che non ottennero la commessa potrebbero ricorrere all’universo parallelo inaugurato dal giudice Mesiano. In fondo seguendo lo stesso ragionamento applicato a Berlusconi un giudice potrebbe «presumere» il reato di corruzione, anche se mai accertato in tribunale, e da lì stabilire un futuro possibile di floride commesse con le Poste con risarcimenti potenzialmente astronomici.

Ma perché limitarsi? La fantasia borsistica dell’Ingegnere è sempre stata infinita: anche se le sue innumerevoli magie fra holding e offerte pubbliche di acquisto non sono finite in tribunale, perché non «presumere» reati di manipolazione di mercato entrando quindi nel fantastico mondo delle «chances» future addebitando iperbolici mancati guadagni da trading?
Ma su questa china cosa ci limita nel presumere un reato di chiunque, che incrociato con un futuro deciso a tavolino comporti un risarcimento a piacere? Quando in Italia ci sarà la «class action» cosa impedirà ad un giudice desideroso dei riflettori di «presumere» la colpa di Amato e Ciampi nella distruzione delle riserve valutarie italiane avvenuta nel ’92 immaginando poi un futuro alternativo per l’intero Paese e presentando il conto? Conviene che tutti ci riflettano sopra: per adesso il parafulmine delle sentenze stravaganti lo conosciamo, ma in futuro la ruota potrebbe girare. Abbiamo sufficienti grattacapi nel mondo reale per prenderci pure quelli degli universi paralleli.
posta@claudioborghi.com

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