Il commento Cedere la gestione per ridare fiducia

Da Milano a Roma, dalla Baggina all'Aler, dall'Istituto dei ciechi al Pliclinico, proliferano le affittopoli, vere o presunte. Cosa hanno in comune? Si tratta di truffe, di abusi o semplicemente di favoritismi e di furbate? Per ora non è chiaro. Certo è che hanno come oggetto immobili appartenenti ad enti di diritto pubblico o a società controllate dai Comuni e comunque dal potere politico. Di solito questi immobili sono stati lasciati in eredità o donati a fin di bene da generosi benefattori. Ad esempio, quelli di proprietà del Pio Albergo Trivulzio sono stati elergiti a quella vetusta e nobile istituzione perché le loro rendite contribuissero a migliorare la qualità delle prestazioni per i vecchietti ricoverati. Di veramente inaccettabile, dunque, c'è questo: che la minore redditività di quegli immobili, dovuta alle condizioni di favore riservate ai soliti noti che li hanno avuti in affitto, va a detrimento delle condizioni di vita di chi paga rette comunque salate per trascorrere una vecchia almeno accettabile. Per non dire dell'ingiustizia rappresentata dalla «informazione selettiva e privilegiata», chiamiamola così, dei bandi di assegnazione. A conoscerli, insomma, erano sempre e solo i soliti giornalisti, politici, manager, artisti. Mai la sciura Maria. Chissà perchè.
In realtà la spiegazione è molto semplice e consiste nella circostaza che a decidere di queste opportunità, della possibilità di avere in affitto un attico in via Santa Marta pagandolo come se fosse un due locali al Giambellino è, direttamente o indirettamente, il potere politico che ne gestisce la proprietà. È la solita storia: la corruzione, i favoritismi, gli abusi o semplicemente le furbate sono dovute all'eccesso di presenza della politica e della sua polverosa vassalla, la burocrazia, nella società e nell'economia. Anche per questa ragione da almeno un ventennio si invocano, inutilmente, le cosidette privatizzazioni. Si chiede, cioè, che la politica a tutti i livelli, da quello nazionale a quello locale, lasci, si liberi della gestione, se non della proprietà dei beni pubblici.
Francamente non credo proprio che cambiando il consiglio d'amministrazione della Baggina possa cambiare la musica. In realtà, per evitare che le porcate si ripetano in futuro, il Pat ha solo due possibilità. Prima possibilità: vendere tutto, liberandosi così definitivamente e completamente dell'onere della gestione con le relative tentazioni; pericolosissime perché «se c'è qualcosa a cui non resisto, sono le tentazioni», diceva Oscar Wilde. Seconda possibilità: affidare la gestione delle proprietà immobiliari ad un ente esterno e privato come un fondo o una compagnia d'assicurazione o una finanziaria, che avrebbe interesse solo a ricavare il massimo dalla gestione di questi beni senza guardare in faccia nessuno, come si usa dire. Senza favoritismi e senza furbate, se non altro per non ridurre la redditività della gestione.

Scegliere questa possibilità comporterebbe un altro vantaggio: se oggi probabilmente nessuno lascerebbe più un immobile alla Baggina, come accadeva una volta, temendo che se ne faccia un uso quanto meno discutibile, la sicurezza di una gestione neutrale e non clientelare, potrebbe rilanciare questa bellissima consuetudine d'altri tempi.

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