Il commento L’atto dovuto? Si indaghi su accuse più serie

(...) le denunce non puntassero semplicemente ad usare la clava dell’azione penale all’interno di vicende tutte politiche ed amministrative, in cui il compito dell’amministratore pubblico è quello di contemperare - nel furibondo bailamme di tensioni della metropoli moderna - interessi radicalmente contrastanti eppure tutti meritevoli di tutela.
È evidente, per stare ai due casi sopra citati, che se questo è il sistema Letizia Moratti avrebbe rischiato di finire sotto indagine qualunque scelta avesse compiuto. Se per limitare l’inquinamento avesse bloccato il traffico o spento le caldaie a carbone, avrebbe evitato le denunce degli ambientalisti ma si sarebbe attirata quella dei condomini o degli automobilisti. Se per riportare la pace all’Arco omonimo avesse dato l’alt alle licenze dei bar avrebbe accontentato gli inquilini della zona ma avrebbe scatenato gli avvocati degli esercenti. Insomma, trasformare il confronto politico in azione giudiziaria mette gli amministratori pubblici in una condizione pressoché permanente di inquisiti.
Nulla di drammatico, ovviamente. Sono passati i tempi in cui i ministri si dimettevano per un’informazione di garanzia. Il doversi difendere da un’accusa penale una volta per un politico era un’onta, poi è diventato un incerto del mestiere, adesso fa parte della normalità. E l’opinione pubblica si è adeguata. Se vent’anni fa il sindaco di Milano finiva nel registro degli indagati, in Galleria non si parlava d’altro. Ieri l’inchiesta contro la Moratti scivola via nell’indifferenza postfestiva dei milanesi, e se ne parla al più nei pochi metri quadri all’inizio di corso Sempione.
Tutto normale, dunque, tutto inevitabile? I cittadini - fin quando non sconfinano nella calunnia - hanno diritto di sporgere denuncia contro chi gli pare, e la Procura ha il dovere di iscrivere i denunciati nel famoso «modello 21», la black list degli indagati. È il cosiddetto «atto dovuto», e il codice di procedura penale sembra lasciare pochi spazi: articolo 335, «il pm iscrive immediatamente nell’apposito registro ogni notizia che gli perviene nonché il nome della persona alla quale il reato stesso è attributo». Ma di fatto sono sempre esistiti filtri e passaggi intermedi che avevano impedito all’esposto più strampalato di tradursi automaticamente in inchiesta: e si può ben dire che anche di fronte a chiamate in causa ben più corpose e dirette di queste si erano usate cautele maggiori.

Oggi questi filtri sono saltati, e la conseguenza è che il modello 21 rischia di venire affollato di una valanga di nomi ignoti o eccellenti senza nessun vaglio di sensatezza dell’accusa, e in questo polverone si confondono e divengono quasi invisibili anche le inchieste serie, quelle davvero destinate a tradursi - se non in condanne - almeno in processi. Insomma, non sarà colpa di nessuno: ma questo polverone è un regalo a chi qualcosa di grave lo commette davvero.

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