Il commento È necessario il rilancio di un’autentica «cultura dell’industria»

Nell’assemblea 2009 di Federchimica, il presidente appena rieletto con una (meritatissima) superpercentuale (oltre il 98%) Giorgio Squinzi ha voluto sorprendere ancora una volta soci e interlocutori. Naturalmente protagonista dell’incontro è stata ancora la crisi del 2008. La peggiore da me vissuta - dice Squinzi - con il prodotto pro-capite che nel 2011 sarà inferiore a quello del 2000, la produzione chimica inferiore a quella del 1997, il valore aggiunto industriale inferiore a quello del 1994. Da imprenditore di razza il presidente di Federchimica non si piange addosso, chiama a lavorare per superare la crisi, ma sapendo che sarà dura: probabilmente si è raggiunto il punto più basso ma su questo «fondo» si potrebbe strisciare a lungo. E se non se ne uscirà «uguali», si dovranno introdurre cambiamenti radicali nella vita di aziende e Paese. E qui si colloca «la sorpresa» di Squinzi, perché accanto ai soliti temi dell'azione confindustriale (credito, liberalizzazioni, ambientalismo sostenibile, costo dell’energia) la carta principale giocata è quella della «cultura».
Ricerca, formazione, cultura che deve conoscere l’impresa. Viene ripresentato il video «Chimica oltre il luogo comune» strumento, senza arroganza, con la necessaria autocritica, ma di lotta culturale per affermare le ragioni dell’industria chimica. E soprattutto viene offerto agli imprenditori chimici un parterre di discussori delle ragioni di Federchimica del livello di Giulio Sapelli, storico dell’impresa, e Alberto Quadro Curzio, economista. E, per il governo, della tosta ministra di Istruzione, ricerca e università Mariastella Gelmini. Sapelli brilla nel ruolo di provocatore culturale, ricordando quanto gli intellettuali italiani siano lontani dall’industria, sia i più (impegnati in studi letterari) sia quelli specialisti più attenti ai giochi matematici che ai processi produttivi. Quadrio Curzio sistema lo sforzo proposto da Federmeccanica nel quadro della programmazione del governo impostata con la legge di bilancio del 2008, in quello di un’Europa dove far pesare la concretezza dell’impresa e del sistema bancario che proprio «culturalmente» ha perso qualche legame con le realtà produttive.
La Gelmini conferma la fama di donna di governo concreta insistendo sugli istituti tecnici per periti chimici e sulle regole per una ricerca che aiuti lo sviluppo, e chiedendo uno sforzo alle imprese per far uscire il sistema di formazione e ricerca dall’autoreferenzialità.


Chiude Emma Marcegagalia che accanto ai necessari obiettivi sindacali già evocati da Squinzi, s’impegna senza remore nella lotta per una cultura per l’industria e promette alla Gelmini che le imprese saranno a fianco del governo se riformerà scuole e università. Sarebbe un’importante novità per imprenditori che spesso amano impegnarsi su battaglie che creano meno fastidi con l’opinione pubblica: dall’abolizione delle province o delle preferenze o al doppio turno alla francese.

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