«Non sarà un viaggio politico...». Questo il ritornello ripetuto nei sacri palazzi in questi giorni di preparazione della visita di Benedetto XVI in Terrasanta. Il Papa dall’8 all’11 maggio sarà in Giordania, Israele e nei territori dell’Autorità palestinese. I discorsi che pronuncerà saranno incentrati sulla figura di Gesù, per ribadire, nei luoghi della sua vita terrena, che il cristianesimo è un avvenimento storico e i cristiani non seguono un’idea, ma una persona.
Anche se non sarà un viaggio «politico», le ricadute politiche saranno molteplici, e la Santa Sede teme strumentalizzazioni in questo senso.
L’annuncio della trasferta aveva provocato dubbi e timori presso la comunità cristiana, ben contenta di accogliere il Papa, ma convinta che il momento fosse quello meno adatto: i lavori della commissione bilaterale sugli accordi fondamentali tra Israele e Vaticano che procedono a rilento e finora in modo inconcludente; la bufera dello scorso gennaio seguita alle dichiarazioni negazioniste di Williamson e alla revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani; le divisioni interne alla stessa comunità cattolica; il delicato momento politico che attraversa Israele dopo la formazione del nuovo governo con esponenti dell’estrema destra; le tensioni gravi e irrisolte all’interno del popolo palestinese, diviso tra Hamas e Fatah. Elementi che avevano fatto suggerire un rinvio del viaggio. È stato lo stesso patriarca latino, Fuad Twal, a confermare nei giorni scorsi il timore che l’arrivo del Pontefice potesse servire soprattutto a regolare i rapporti con Israele e a consolidare l’amicizia con il mondo ebraico, facendo passare in secondo piano i problemi vissuti dai cristiani e le sofferenze dei palestinesi. Ma, ha detto Twal, «avendo constatato che il programma del pellegrinaggio era ben bilanciato, abbiamo finito per riconoscere che questo viaggio non poteva che essere una benedizione per tutti».
Benedetto XVI, l’11 maggio si recherà dal presidente dello Stato d’Israele per una visita di cortesia, come peraltro già fece nel 2000 Giovanni Paolo II: l’appuntamento, fanno sapere in Vaticano, non si lega in alcun modo al riconoscimento di Gerusalemme quale capitale dello Stato. Quindi renderà omaggio alle vittime della Shoah al memoriale dello Yad Vashem, senza peraltro visitare l’annesso museo, dov’è esposta la contestata didascalia su Pio XII. Ratzinger ribadirà, in questa occasione, la sua ferma condanna dell’antisemitismo. Il 13 maggio, il Papa sarà a Betlemme e nel pomeriggio visiterà un campo profughi, manifestando la sua vicinanza anche al popolo palestinese e in questa occasione incontrerà una delegazione di cristiani di Gaza.
Il viaggio di Wojtyla, nell’anno del Giubileo, fu un capolavoro diplomatico. La cura con cui Oltretevere si sta preparando la trasferta di Benedetto XVI lascia prevedere che l’esperienza positiva si ripeterà. Nonostante i tentativi di strumentalizzare la presenza del Papa.
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