Il commento Ma oggi non esiste un’alternativa a Tremonti

di Paolo Del Debbio

Giulio Tremonti non è dotato dell’infallibilità. Crediamo lo sappia perfino lui. È dotato, però, di una linea di intervento piuttosto precisa e di una credibilità internazionale che è andata crescendo negli anni di governo, e non scemando. E non era facile, anzi il contrario: era piuttosto difficile.
Detto questo, Tremonti ha delle idee. Come tutte sono discutibili, non uniche, fallibili. Possono avere delle alternative. Ecco il punto: le alternative. Dove sono? Chi le ha elaborate? Chi le ha vagliate nel senso della sostenibilità della spesa pubblica? Magari ci sono, ma nessuno le conosce.
A volte si ha l’impressione che prevalga un certo risentimento nei confronti del potere veramente grande che è nelle mani di un uomo solo, piuttosto che una battaglia ideale e politica su reali alternative a ciò che Tremonti dice e fa. Questo traspare dalle cene del centrodestra, questo traspare anche dai mugugni dell’opposizione. Certo se uno va ad una cena con Tremonti per discutere le idee del Tremonti medesimo e non è ben equipaggiato di potere contrattuale, idee e anche dette bene, torna maledicendo la cena e i bruciori intensi che ne derivano. Martin Buber quando scrisse Il principio dialogico non si ispirò certamente a soggetti à la Tremonti. Ma questo è un altro discorso.
Quello del ministro dei Beni culturali, Giancarlo Galan, poi, è un altro discorso ancora. Galan chiede collegialità, discussione, e chiede che il luogo sia Palazzo Chigi perché quello è il luogo della sintesi, non via XX Settembre dove sta il ministro professore. Ha ragione Galan: i luoghi contano. La sintesi la fa il presidente del Consiglio, sennò è sbilanciata. E lo è naturalmente perché non c’è ministro che la possa fare in modo equilibrato come chi deve tenere insieme la baracca. È da sempre così. Anche ai tempi di Quintino Sella, anche a quelli di Cirino Pomicino.
È per questo che, altrove, i presidenti del Consiglio hanno un loro consiglio economico che fa da contraltare al Tesoro o agli altri dicasteri che si occupano di spesa e di entrate. Ed è per questo che altrove ci sono fondazioni e istituti di ricerca di tutte le parti politiche che elaborano, discutono, propongono. Di cene ne fanno poche, ma di idee ne circolano tante e nessuno, così, ne ha il monopolio. Semmai c’è un oligopolio ma è pur sempre meglio che il pensiero unico.


Si potevano fare tagli mirati e più selettivi invece che lineari, cioè eguali in tutti i comprati di spesa? Probabilmente sì ma che proposte ci sono state? Dove se ne è discusso? Si poteva e si potrebbe ancora tagliare di più da qualche parte per destinare qualche risorsa in più per il taglio delle tasse? La riduzione della pressione fiscale è ancora una priorità del programma solo momentaneamente in panchina oppure no? È giusto intervenire sulla vicenda Parmalat come sta facendo Tremonti o la toppa è peggiore del buco, come si dice a Milano?
In altre parole: la politica economica e fiscale di Tremonti è l’unica possibile per il centrodestra italiano? Ed è quella giusta? È liberale o no? Quella liberale, se c’è, è ancora la strada giusta? Tremonti si è richiamato spesso all’economia sociale di mercato: è questa la strada? Cosa vuol dire? Perché qualcuno non ha il coraggio di lanciare una riflessione seria su questo, sapendo che davanti non ha uno sprovveduto da confondere con dei ragionamenti fumosi e politichesi. Per questo bastano le cene. Per il resto si consiglia di andare a stomaco vuoto ma a testa piena. Si risparmia e, magari, non si fa neanche brutta figura.

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