Di fronte alla decisione di rinviare a giudizio Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, accusato di averla uccisa nel pomeriggio assolato di via Poma, quasi vent'anni or sono, esiste un'unica certezza: che cioè una cosa del genere in Inghilterra non sarebbe possibile.
Non lo sarebbe semplicemente perché nel sistema di common law - tipico della cultura giuridica anglosassone - l'idea stessa di trascinare qualcuno in giudizio, per un reato tanto grave come un omicidio, dopo un lasso così lungo di tempo, apparirebbe del tutto fuori dal mondo.
Se la polizia avesse pure dato inizio a unindagine destinata, come si suole dire, a riaprire il caso dopo due decenni, il Prosecutor o lo stesso giudice avrebbe dichiarato (comè accaduto in casi assai meno gravi) l'estinzione dell'azione in virtù di quello che tecnicamente si definisce «abuse of process», vale a dire un uso abnorme dello strumento processuale che in quel caso verrebbe destinato a scopi contrari all'equità.
È infatti unelementare ragione di equità a chiedere che a processi del genere non si dia inizio, a prescindere dal merito e dalle difficoltà probatorie non indifferenti che essi presentano: ciascuno di noi vorrebbe assicurare alla giustizia il colpevole di un tale delitto anche dopo cent'anni, ma bisogna pur ammettere che vent'anni non passano invano.
È contrario all'equità trascinare in giudizio un soggetto (chiunque egli sia) dopo due decenni, sia perché costui potrebbe trovarsi nella concreta impossibilità di difendersi (chi è davvero in grado di ricordare dove si trovasse e cosa facesse una sera di un certo giorno di vent'anni prima?); sia perché se, come nel caso in esame, tale soggetto fu inserito nel novero degli originari sospettati per esserne poi escluso, ci sono già sufficienti motivi per ritenerlo estraneo ai fatti contestati ed è per lo meno strano che invece si ricominci da capo; sia perché si sollecitano nei familiari della povera vittima delle aspettative più che legittime che tuttavia rischiano di rimanere deluse; sia infine perché si impegna l'erario per spese e risorse umane enormi.
Nel caso in specie molte perplessità sorgono poi dal considerare come le difficoltà di reperire prove necessarie al di là di ogni ragionevole dubbio, per poter condannare una persona ormai sposata ad altri da undici anni, siano quasi insormontabili.
Ed è presto detto perché.
Pare che le prove (meglio sarebbe dire gli indizi) oggi scoperte siano essenzialmente due, come riporta la stampa che si è occupata del caso. Da un lato, la circostanza che l'arcata dentaria di Busco sia risultata compatibile con la traccia di un morso lasciata sul seno di Simonetta.
Ebbene, innanzitutto, il fatto puro e semplice che si ravvisi una tale compatibilità non può significare in alcun modo che essa si traduca in esclusività e quindi in una specifica prova a carico. Poi, bisognerebbe essere in ogni caso arcisicuri che tale compatibilità sia reale, prima di spedire una persona all'ergastolo.
Da un altro lato, ci sarebbe una traccia di saliva di Busco sul corpetto di Simonetta. E allora? I due erano o non erano fidanzati? E cosa si pensa che facessero oltre che andare al cinema? Come si vede, il desiderio, in sé lodevole, di trovare un colpevole per un efferato delitto, rischia di produrre in tal modo più problemi di quanti ne possa risolvere.
Facile previsione sugli sviluppi del caso. Il processo di primo grado durerà per decine di udienze lungo svariati anni e una vera guerra di perizie e controperizie: qualunque sarà la sentenza, la controparte farà appello. Altri tre o quattro anni; e poi ricorso in Cassazione: almeno un altro paio di anni. Possibile, anzi probabile annullamento con rinvio ad altro giudice. Durata complessiva probabile: dieci anni, mese più, mese meno; e, alla fine, nessuna certezza. Tranne una: che cioè sia nel caso di assoluzione che di condanna, nessuno si dirà soddisfatto, proprio a causa del compito impossibile di superare difficoltà oggettivamente insuperabili.
Eppure, tanto più grave è il reato - e questo è gravissimo - tanto maggiore deve essere la cautela nel condannare e nel processare.
Questa «archeogiustizia» rischia allora di lasciarne uno solo contento: Bruno Vespa che, orfano di Cogne e temendo che Garlasco possa presto esaurirsi, potrà imbastirvi su un centinaio di trasmissioni.
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