Il commento Ma il primo scandalo è costruire una palazzina-mostro di fronte al Colosseo

Sì, lo scandalo esiste. Nella vicenda dell’acquisto da parte del ministro Scajola di un appartamento romano, lo scandalo è sotto gli occhi di tutti. Non si tratta del vero o presunto giro di assegni circolari, del vero o presunto coinvolgimento dell’immobiliarista Diego Anemone o dell’architetto Angelo Zampolini, né del prezzo più o meno congruo pagato dal ministro per l’acquisto.
Lo scandalo è in una fotografia, pubblicata da tutti i giornali, dove si vede la palazzina sullo sfondo del Colosseo, in via del Fagutale, «il bosco del faggio sacro», dove sorgeva - traditur - la dimora di Tarquinio il Superbo. Ma l’avete guardata bene? Nella desolata brutalità della sua squallida architettura, con i suoi miserandi terrazzi dall’intonaco già scrostato, le finestre sgraziate chiuse da ancor più sgraziate serrande, i falsi mattoncini, le inferriate dipinte di bianco a chiudere una sorta di finestrone da magazzino, la palazzina rappresenta da sola uno scandalo e un’accusa.
È scandaloso che a un passo dall’anfiteatro più famoso del mondo, simbolo della potenza architettonica della Roma imperiale, in un luogo antichissimo e sacro alla più remota tradizione, si sia lasciata costruire una simile «palazzinata» che in nessun modo si sposa alle architetture preesistenti. Una bruttezza senza giustificazione che da sola simboleggia lo scempio che nel dopoguerra è stato fatto di tanti luoghi dell’ex Urbe, abbandonati alla più bieca speculazione edilizia.
Un’accusa. Quale architetto (magari in quel momento alla moda) l’ha progettata? Quale commissione edilizia l’ha esaminata e approvata? Quale amministrazione di centro o di centro-sinistra degli anni Sessanta l’ha consentita? Fuori i nomi, verrebbe da dire. Altro che gli assegni incassati o meno dalle sorelle Papa. Piuttosto appare incomprensibile che persone di indubbia disponibilità economica e certamente di buon gusto, dal bravo attore Raoul Bova alla soubrette Lory Dal Santo al ministro Claudio Scajola abbiano acquistato senza batter ciglio i «prestigiosi» appartamenti di un simile edificio. Ecco, la vera colpa di Scajola. Colpevole è chi progetta, chi autorizza ma anche chi compra. Chi compra il brutto, lo avalla.
Come accade per tanti altri scempi: le sciagurate periferie costruite sul modello della Magliana, luoghi perduti dove la negazione di ogni valore estetico non può che negare ogni valore morale. Edifici-incubo, nati dai deliri dell’architettura sovietizzante, come il Corviale, il mostruoso serpentone progettato negli anni Settanta dal celebre architetto Mario Fiorentino, dove un’ipotetica «comunità» avrebbe vissuto autoregolandosi e «facendo prevalere gli interessi collettivi su quelli privati».
Perché quelli erano i sinistri miti architettonici di quegli anni e poco importa che il serpentone sia diventato invece una sorta di girone dantesco, un fortino di degrado e di occupazioni abusive. Le archistar come Richard Meier al quale l’amministrazione Rutelli ha commissionato il nuovo contenitore dell’Ara Pacis (una specie di MacDonald’s più adatto alla periferia di Los Angeles che al cuore di Roma, come l’ha definito Vittorio Sgarbi) hanno illustri predecessori.
Ma la mala-architettura, almeno per quanto riguarda Roma, ha origini lontane. La città del Bernini e del Borromini era da poco capitale della nuova Italia, che già calavano gli speculatori che avrebbero dato vita alle prime lottizzazioni, erigendo i cosiddetti «quartieri umbertini». Per costruirli furono demolite alcune delle più belle ville romane.

E inutilmente il giovane Gabriele D’Annunzio nel 1883 si batteva contro lo scempio lamentando che i cipressi di Villa Ludovisi sotto cui si era seduto Goethe nel suo viaggio in Italia venissero abbattuti senza pietà. Non poteva sapere quello che sarebbe accaduto dopo.

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