Daniel Kahneman è uno psicologo israeliano vincitore insieme a Vernon Smith del Premio Nobel per leconomia nel 2002 «per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni di incertezze».
Molti dei suoi studi, come peraltro quelli di un altro psicologo, Herbert Simon, vincitore del Premio Nobel per leconomia nel 1978, rendono ragione di comportamenti individuali e collettivi in cui il ruolo della soggettività emerge potentemente al di là di comportamenti che i «pianificatori razionali di giustizia» di tutte le epoche tendono a considerare fondamentali.
Per esempio, il calcolo del benessere percepito di una popolazione, valutato in puro prodotto interno lordo, rappresenta un gravissimo errore.
È noto che dopo una grande catastrofe, che so, un terremoto o il bombardamento di Gaza, il tasso di crescita del Pil in quellarea sarà altissimo, senza che questo rappresenti un vero incremento della felicità percepita da parte degli individui e delle persone.
Cè infatti chi suggerisce di affiancare al Pil il coefficiente di felicità personale, che può, se misurato, riservare drammatiche sorprese per i programmatori di ogni tempo.
Per esempio, uno dei fattori essenziali, insieme alla percezione di fare parte di una comunità umana in cui lidentità solidale non è mai disgiunta dalla libertà, è legato alla constatazione di potere liberamente fruire delle proprie risorse economiche. Ciò a prescindere dal grado di sicurezza sociale percepito.
In una ricerca recente, le colf filippine che lavorano in nero e che sono libere di disporre quasi completamente del proprio reddito (investendolo magari nel Paese dorigine) sono apparse molto più felici di operai o impiegati scandinavi in un sistema sociale in cui al più alto tasso di sicurezza corrisponde il più elevato numero di suicidi.
Sarà forse questa la ragione per cui in un Paese di secolare tradizione familista e un po anarcoide come lItalia, a seconda delle stime diverse, il 20% o più delleconomia reale tende a essere occultato?
Ciò fa gridare allo sdegno non soltanto i ministri dellerario o la Guardia di finanza, che di mestiere devono rimpinguare le casse dello stato. Ma anche tutti i maestri di socialità ed etica che lamentano, non a torto, gli squilibri tra chi ha un reddito fisso e non può nulla occultare, e chi invece sulla base dell«evasione» mantiene stili di vita e consumi per altri impossibili.
Si tratta di un fenomeno complicato e con molti volti.
La percezione di ingiustizia alimenta la conflittualità sociale.
Ma questa sorta di riserva privata degli italiani, che fece dire una volta a Rino Formica che «nel convento Italia, il monastero è povero ma i frati sono ricchi», è forse uno dei fattori che più di altri ha reso resistente la nostra vitalissima palude alla crisi finanziaria planetaria.
Questa riserva privata, che in una trasmissione radiofonica ieri faceva gridare a una sindacalista che i risparmi privati degli italiani si basano sullevasione, ha prodotto effetti complessi.
In primo luogo il mantenimento dei consumi, più che in ogni altro Paese europeo, con una ricaduta sicuramente favorevole sui mercati interni, esterni e sulleconomia reale.
Come tutti dicono, nonostante le cassandre della crisi, alberghi e ristoranti, autostrade e aeroplani, negozi di telefonini e tutto sommato centri commerciali, continuano a esser più vitali qui che in qualsiasi altra parte dEuropa.
Con indiscutibili vantaggi collettivi per tutti, persino per lultimo dei precari o il più piccolo degli artigiani.
Se queste risorse, anziché liberamente utilizzate da cittadini consumatori, fossero state accentrate nella spesa pubblica pianificata, spesso sprecona e inefficiente, oltre che esosa, siamo sicuri avrebbero avuto un esito umano migliore?
Pensate a uneconomia elementare come quella di un welfare in tumultuosa espansione.
La gestione privatissima (e in verità semi illegale) di un anziano in casa con una badante semi clandestina, può costare poco più del valore di una pensione media.
Allinterno di una struttura pubblica o accreditata, spesso fino al triplo, e raramente con soddisfazione di utenti e famiglie.
Così come qualcuno dovrebbe spiegare, anche in termini psico-neuro-economici, perché un posto letto pubblico costa mediamente dal 30 al 50% in più di uno privato, anche quando si occupa degli stessi tipi di disagio.
Insomma, voglio finire con una bestemmia del politicamente corretto: se alla lotta sacrosanta contro levasione fiscale per la giustizia e la fraternità non assoceremo unaffermazione diffusa di sussidiarietà liberale che responsabilizzi ogni spesa pubblica e freni sprechi e furberie, i cittadini, per ragioni elementari, non tutte ugualmente spregevoli o animalesche, continueranno a difendersi da un Moloch pubblico che vuole decidere da solo come investire i faticati redditi di più di metà del tempo lavorativo produttivo.
I padri fondatori delle democrazie anglosassoni proclamarono contrapponendo il Parlamento liberale agli sprechi della corona: «not ascension without representation». Finché la maggioranza dei cittadini non sarà convinta che un burocrate pubblico sa meglio di lui qual è il suo bene, non basteranno plotoni di gabellieri.
Persino il mitico Obama ha dovuto sostanzialmente capitolare di fronte a una pervicace resistenza degli americani a far decidere tutto a professori, coroner e sceriffi.
Il nostro sistema di spesa socio-sanitaria regge ancora anche perché costruito su un immenso indebitamento. Peccato che la sua richiesta cresca come un tumore metabolico di circa il 7% allanno.
È anche frutto della popolazione che invecchia, vedremo come andrà a finire.
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