di Maurizio Caverzan
La selezione dei film in concorso non era certo esaltante (nonostante nei crocchi la supergiurata Natalia Aspesi sostenesse il contrario), ma almeno i premi sono andati ai migliori, attori compresi, Toni Servillo in testa. Complessivamente, la sensazione è che la giuria abbia voluto scegliere gli esempi di una produzione asciutta, eurocentrica, poco incline a sentimentalismi o a battaglie asiatiche o terzomondiste. Innanzitutto, il MarcAurelio del miglior film a Kill Me Please del belga Olias Barco che, in un irriverente bianco e nero ha ritratto la clinica della morte dove uneccentrica umanità, una cabarettista trans, un giocatore dazzardo che si è giocato la moglie, spera di consumare il suicidio perfetto a pagamento. Ma un evento imprevedibile dimostrerà che è la morte stessa a decidere quando presentarsi. Un premio alla coraggiosa dose di humour noir. Più prevedibile il Gran Premio della Giuria al quale si è aggiunta anche la preferenza del pubblico a Heavnen. In a better world di Susanne Bier. Al centro del quale cè la pericolosa amicizia di due adolescenti che, iniziando a vendicarsi di un episodio di bullismo, finiscono sul ciglio del terrorismo, prima di essere acciuffati sul cornicione del baratro. Un film denso, teso, asciutto, come nello stile della regista danese che rappresenterà il suo Paese anche nella corsa allOscar per il miglior film straniero. Stessa essenzialità e precisione narrativa anche in Una vita tranquilla: la tragedia di un uomo diviso tra la propria coscienza di padre e il bisogno di rifarsi una vita in una Germania lontana dal crimine e di sopravvivere reso, come sempre magistralmente da Toni Servillo, indubbiamente lattore italiano a più alta definizione del momento.
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