Cronaca locale

Il commento Smantelliamo le favelas senza cedere alle minacce

(...) Ma il Comune e il Ministero non devono farsi spaventare da queste reazioni e devono andare avanti con il piano di smantellamento dei campi; io non credo che i milanesi ce l’abbiano con i rom in quanto tali; non sopportano di avere a pochi passi dalle loro case queste piccole favelas dove si vive in stato di totale degrado fisico e morale e in condizioni igieniche raccapriccianti. È questo che non è tollerabile, non la presenza dei rom, purché regolari. Che queste baraccopoli debbano essere smantellate lo avevamo scritto all’indomani della morte del piccolo Emil, un ragazzino di 13 anni bruciato nella sua capanna in un campo abusivo di via Novara. Ma il problema dei rom non potrà mai essere risolto se non si risolve anche il problema della casa per i rom. Numerosi fra loro, ci dicono, hanno già un alloggio, ma preferiscono subaffittarlo e vivere in qualche catapecchia purché circondati dai loro parenti. Non so quanti proprietari di case ci siano fra i rom, ma il nodo vero è che finché li si sgombera e li si caccia dai loro accampamenti senza dirgli: tu e la tua famiglia da stasera andate a vivere in via tal dei tali al numero X, non si risolve alcunché. I rom prendono le loro quattro cose e si trasferiscono in qualche altro campo. E si ricomincia da capo.
Non a caso, e pur sfidando l’impopolarità, nello scorso settembre avevamo scritto di essere favorevoli allo stanziamento da parte di Palazzo Marino, in accordo col prefetto Lombardi, di fondi da destinare ai rom purché regolari e decisi a trovarsi un alloggio «normale». Di questa iniziativa non si è saputo più nulla. Soltanto in questo modo si può togliere ogni alibi, ogni pretesto, ogni scusa dalle mani dei rom e di chi gli dà manforte. Soltanto dando ai rom una concreta alternativa abitativa il Comune e il prefetto potranno mantenere un atteggiamento duro e potranno non da peso davanti a una scusa che alla maggior parte dei milanesi sembra ridicola quando non offensiva del buon senso: ma così mio figlio sarà costretto a cambiare scuola. A parte il fatto che mi piacerebbe sapere davvero quanti rom mandano regolarmente a scuola i loro figli, credo che di fronte alla concreta possibilità di andare a vivere in una casa «normale» sia i genitori che i giovani rom dovranno farsene una ragione e, se necessario, cambiare scuola. Non è la fine del mondo. Ma non sarà facile. Anche perché ad aizzare i rom (è successo anche l’altro ieri in via Triboniano) ci pensano gli uomini del «comitato antirazzista» di Fabio Zerbini, uno che sogna ancora la rivoluzione, che ha fatto parte di «Via Adda non si cancella», che considera il Patto per la legalità e la solidarietà (un accordo stretto tra Comune, Caritas e cittadini rom) un regolamento semicarcerario che trasforma i campi in lager. In realtà Zerbini, sognando la rivoluzione, considera quella tra i rom e le città una vera e propria guerra e (lo scriveva due anni fa) «Come in ogni guerra ancora in corso, nessuno può prevederne gli esiti finali». Stiano attenti i rom a dare ascolto a questi falsi profeti. Da una guerra hanno tutto da perdere e niente da guadagnare.

A differenza del signor Zerbini e dei suoi colleghi che, senza guerre e barricate, non saprebbero che fare.

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