Commento Ma stavolta difendiamo Cofferati

Sarebbe troppo facile questa volta dargli addosso. Dirgli ben ti sta a te (ex) sindacalista finalmente vittima dei sindacalisti. Capito cosa si prova a essere messo spalle al muro da un manipolo di irragionevoli? E poi da un giudice del lavoro dall’occhio strabico o addirittura chiuso di fronte ai soprusi? E, invece, questa volta Sergio Cofferati aveva ragione. E l’augurio è che in appello questa ragione gli sia riconosciuta anche in tribunale. Il fatto è noto. La condanna dell’ex totem della Cgil e oggi sindaco di Bologna per «comportamento anti sindacale». Una beffa. La colpa? Da presidente della Fondazione Teatro Comunale Bologna, aver fatto affiggere un comunicato per avvertire che, in caso di astensione dal lavoro, nemmeno i non scioperanti sarebbero stati pagati. Un modo per impedire che in pochi possano far danno a tanti. E che in tanti possano godere dello sciopero di pochi. Un trucchetto smascherato da Cofferati che per questo è stato costretto a pagare anche 1.300 euro di spese del processo. Pentito? No perché è passato dall’altra parte della barricata. Ha capito che non si può lasciare un grande teatro o (in altri casi) un’intera città in balia di una casta che difende i suoi privilegi. Siano maestri musicisti o eterni (e impuniti) facinorosi inquilini di centri sociali abusivi. Come a Milano dove ogni anno la prima di sant’Ambrogio è il pretesto per minacciare uno sciopero e passare alla cassa. O il legittimo sgombero del Leoncavallo occupato è ormai diventato un reato di lesa maestà. Con le città ormai ostaggio di pochi.

A meno che un sindaco non si opponga. Come fa il Cofferati rinsavito dopo una stagione da sindacalista scapestrato. E, infatti, a sinistra il «Cinese» non va più di moda. E i suoi lo spediscono all’europarlamento di Strasburgo. In pensione. A nostre spese.

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