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Como, disegnava graffiti. Undicenne ucciso dal treno

Como - «Ridatemi mio figlio. Ridatemelo. Perché quel macchinista non si è fermato? Non ha freni quel maledetto treno? Perché era qui mio figlio, chi ce l’ha portato?». È nelle grida disperate di una mamma la tragedia di un ragazzino di 13 anni morto sotto a un treno. Irene Fontana piange suo figlio, Cristian. Urla, si dispera, maledice il cielo e il treno che ha ucciso il suo bambino. È successo ieri, a Merone, alle 4 del pomeriggio. Ma è stato il treno delle 5 a trovare il corpo già senza vita del ragazzo.
Il sospetto dei carabinieri è che Cristian fosse lì con un gruppo di amici per disegnare graffiti sul pilastro del cavalcavia che corre sopra la massicciata. Questa è l’ipotesi dei carabinieri. Disegni semplici, appena spruzzati con una bomboletta rimasta lungo i binari.
Quando il primo treno è passato, Cristian è stato risucchiato da una carrozza. Un colpo in testa, la caduta sui binari, e il treno che lo trascina per un tratto. Il macchinista non se ne accorge, tira dritto verso Merone. Gli amici del giovane gli corrono incontro, vedono che è grave, che perde sangue. Lo portano fuori dai binari e lo sdraiano lì vicino. Cercano di rianimarlo. «Cristian, Cristian», ma Cristian non risponde. I ragazzini scappano perché hanno paura e non sanno cosa fare. E Cristian resta lì finché non passa il secondo treno. Il macchinista lo vede, rallenta, si ferma. I passeggeri si affacciano dal finestrino. C’è un ragazzino pieno di sangue che non respira più. Arrivano carabinieri, polizia, magistrati e ambulanze. In cinque minuti tutto il paese è lì, in via Diaz, la strada che corre parallela ai binari. La mamma grida e si dispera. Manda al diavolo anche il parroco e il maresciallo. Il sindaco è un suo vicino di casa, è stato lui a fare il riconoscimento del ragazzo.
È stato un incidente, su questo non ci sono dubbi. Le forze dell’ordine devono solo capire chi c’era con il ragazzino ma la sostanza non cambia. Come il fatto che questo tracciato stia diventando una sorta di linea maledetta visto che questo è il terzo incidente in poco più di un mese. Cristian aveva vissuto tre anni alla Nostra famiglia di Ponte Lambro. Era stato dato in affido a questo istituto dai servizi sociali. Ma da quando era tornato a casa, tutti lo ricordano come un ragazzo ben educato, senza problemi a scuola.
Quella dei graffiti forse non era neanche la sua passione. Girava con la bici, quello sì. «Veniva la sera da mio marito a chiedere se gli gonfiava le gomme», racconta una signora di Moiana, il quartiere dove Cristian viveva con la mamma e un fratellino di sei anni. La bicicletta è lì, nel posteggio di fronte ai binari dove il ragazzo è stato investito. Suo papà vive in Calabria, era venuto a trovare suo figlio un mese fa.

Ora sta tornando a Merone per dirgli addio.

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