«Compito della letteratura è svelare i segreti più grandi: quelli sotto gli occhi di tutti»

L’accuratezza delle fonti lo avvicina a un saggio, lo stile a un romanzo storico, il ritmo a un giallo: è uno dei migliori libri in circolazione, s’intitola Anatomia di un istante (Guanda, pagg. 462, 18.50 euro, trad. Pino Cacucci) e lo firma lo scrittore e giornalista spagnolo Javier Cercas. È incentrato sul fallito golpe spagnolo del 23 febbraio 1981: «Non un evento da operetta, come spesso si pensa, ma un fatto complesso», spiega Cercas, classe 1962, oggi al Festival della Mente di Sarzana per parlare del rapporto tra letteratura e realtà.
È tardo pomeriggio, a Madrid. Alle 18.23 del 23 febbraio 1981 il Congresso dei deputati spagnoli sta per sostituite Adolfo Suárez, presidente del governo che costruì la democrazia dalle ceneri del franchismo, con Leopoldo Calvo Sotelo. Durante la seduta entra armato in aula il colonnello Antonio Tejero con alcuni congiurati. Parapiglia, tutti a terra per ripararsi, ma non Suárez, rigido nel suo scranno di pelle blu. Non Santiago Carillo, capo del Partito Comunista. Non Gutiérrez Mellado, aristocratico monarchico. È un golpe orchestrato dal generale Amada, convinto di ottenere dal Re il ruolo di guida di un esecutivo di unità nazionale, ma è un golpe che il sovrano non riconosce, un golpe che Tejero s’illude porterà al comando i militari, un golpe che l’opinione pubblica non capisce. E infatti il giorno dopo tutto finisce. Questa è la storia e Cercas, come già con Soldati di Salamina, è narratore capace di orientarsi bene tra i meandri della guerra civile spagnola e della difficile fase di transizione dopo il franchismo. Ma c’è dell’altro, ché qui l’autore pare un anatomopatologo: l’istante che seziona, catturato per caso dalle telecamere a circuito chiuso e diffuso dalle tv mondiali, è il gesto di Suárez, quel suo stare al suo posto mentre tutti si nascondono. Fu eroismo o paura? Orgoglio o calcolo politico? Un simbolo o un caso? Cercas presenta una cronaca lucida, ma non risposte definitive, convinto che a volte la realtà abbia una forza drammatica superiore persino alla fiction.
Qual è stato l’aspetto più complesso nella scrittura di un libro così?
«Sono stati quattro anni di lavoro estenuante tra interviste, letture, approfondimenti. Stavo diventando pazzo. L’aspetto più difficile è stato individuare la struttura dell’opera, per spiegare che cosa significò davvero quel giorno, e quel gesto, per la storia della Spagna».
Da qualche tempo il termine docu-fiction indica in narrativa quei libri che si muovono tra realtà e finzione: il caso più famoso in Italia è Gomorra. È docu-fiction anche Anatomia di un istante?
«Saviano ha più volte detto che per Gomorra si è ispirato allo stile dei Soldati di Salamina, ma questa volta non si può parlare di docu-fiction perché nel mio libro ho eliminato qualsiasi elemento di finzione. Il motivo è preciso: sul colpo di stato fiorivano leggende, falsità, analisi varie e l’ennesimo romanzo sarebbe stato ridondante. Ero interessato a scrivere solo di ciò che realmente accadde: ne è uscito un libro ibrido, che partecipa di molti generi».
Perché non è stato ancora scritto un libro di questo genere sull’11 settembre?
«È un tema su cui mi sono a lungo interrogato. Ammetto: non lo so. Tutti i tentativi di scrivere un romanzo su uno degli avvenimenti più importanti degli ultimi anni sono stati dei fallimenti, compreso quello di DeLillo, L’uomo che cade, del 2007. Forse l’eco di quell’attentato, grazie alle immagini in tv, è ancora troppo forte o forse non si è trovata la forma narrativa adatta».
Anche il golpe spagnolo andò su tutte le televisioni: se la realtà appare già lì, ripresa dalle telecamere, qual è il ruolo dello scrittore che vuole narrarla?
«Essere a un tempo cronista e interprete. I grandi segreti sono quelli sotto gli occhi di tutti, perché siamo portati a dar loro meno importanza.

Compito della letteratura è quello di rendere visibile l’invisibile, dare peso a ciò che il mondo ritiene di vedere, ma in fondo non vede. Come l’atto di Suárez: affrontare l’enigma di quel gesto è stata la mia sfida, e credo che in questo la letteratura non sia in crisi, ma abbia tutti gli strumenti per interpretare la realtà».

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