La concorrenza manda il Corriere in profondo rosso

Secondo il quotidiano di via Solferino, il duopolio Rai-Mediaset ha impedito lo sviluppo della tivù

La concorrenza  manda il Corriere  in profondo rosso

Ieri i lettori del Corriere della Sera, secondo quotidiano italiano più venduto in edicola dopo Repubblica, hanno trovato l’articolo di fondo della prima pagina dedicato alla concorrenza Rai-Mediaset. L’autore, Massimo Mucchetti, ha descritto le difficoltà delle due aziende, alle prese con il calo della pubblicità, l’aumento dei debiti e l’erosione dei margini: la Rai nel 2012 potrebbe perdere un centinaio di milioni, mentre Mediaset, se non abbatterà i costi, brucerà i profitti (il che non risulta: per gli analisti di Mediobanca, per esempio, il 2011 si chiuderà con 205 milioni di utile netto, benché in calo dai 256 del 2010.

E nel 2013 saranno 233). In estrema sintesi la conclusione è che il duopolio Rai-Mediaset, frenando ogni tipo di spinta concorrenziale, ha impedito lo sviluppo del settore tivù. Con particolare riferimento al declino della Rai, servizio pubblico, visto come un’inevitabile conseguenza della protezione garantita alla Mediaset di Berlusconi: un’azienda privata ma gestita tanto male che Mucchetti invoca l’arrivo di un manager esterno alla famiglia Berlusconi (a cui, anche tramite la Mondadori, fa riferimento pure il Giornale).
Posto che il mercato, attraverso i prezzi di Borsa, valuta la redditività futura di Mediaset in linea con quella dei suoi concorrenti europei, Mucchetti dipinge il Biscione, e i suoi manager, a tinte forse troppo fosche. Ma a parte questo, al lettore del Corrierone viene risparmiato un post scriptum: la crisi non si abbatte solo sulle inefficienze del duopolio tv. Ma su tutto il settore dei media tradizionali. E lo dimostra lo stesso gruppo Rcs, editore del Corriere della Sera. Con l’aggravante di alcune scelte assai discutibili.

I conti preliminari del 2011, appena presentati, per il terzo anno di fila non daranno soddisfazioni ai soci. Dopo i 130 milioni di perdite 2009 e il pareggio del 2010 (7 milioni di utile), per l’anno appena concluso si prevede il profondo rosso. Soprattutto per la svalutazione da 300 milioni delle attività di Unidad Editorial, la controllata spagnola di Rcs. Sono le conseguenze dell’investimento da 1,1 miliardi effettuato dall’attuale management per rilevare nel 2007 il gruppo Recoletos, poi rivelatosi un bagno di sangue. Tanto che per alcuni analisti finanziari quei 300 milioni non basteranno a risanare il gruppo: ce ne vorranno altri che al momento non sono stati messi in conto solo per evitare un aumento di capitale di Rcs. Tanto che, per far fronte ai buchi (e ai 938 milioni di debiti), il gruppo vuole vendere il gioiellino dei libri francesi Flammarion e - apriti cielo - anche la storica sede milanese del Corriere di via Solferino. Mentre per quanto riguarda i periodici, il tentativo di cedere una decina di testate in cronica difficoltà da almeno un decennio, è stato accantonato per mancanza di compratori.

Il tutto in assenza di un duopolio televisivo. Ma in presenza di un patto di sindacato (composto da Mediobanca, Fiat, Intesa, Generali, Della Valle, Ligresti, Pirelli e altri) che controlla il 63% del capitale. E che non accetta nessuna intromissione rispetto alle sue barocche regole di governance: a Diego Della Valle, patron della Tod’s, che chiedeva di crescere per investire nel rilancio del gruppo, è stato detto di stare al suo posto; a Giuseppe Rotelli, proprietario del quarto gruppo ospedaliero europeo, con 1,4 miliardi di ricavi e in piena espansione, già azionista con l’11%, non viene nemmeno aperta la porta del patto.

Quindi niente aumento di capitale anche perché a chi ha i soldi non viene permesso di investirli (poi magari chiederebbero anche di contare qualcosa); e chi non ce li ha si tiene stretto il potere di influenza politica ed economica del grande quotidiano (ancorché superato da Repubblica nelle copie vendute in

edicola: 379mila contro le 356mila della media giornaliera 2011). Poco importa se i conti sono in rosso, se la società è quotata ma non stacca cedole dal 2007 e se il più glorioso quotidiano nazionale continua a perdere lettori.

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