CannesAdattato da «LIncident», romanzo di Christian Gailly, e diretto dal decano del Festival, Alain Resnais, «Les Herbes folles» (Le erbe matte), presentato ieri in concorso, ha sedotto pochi e sconcertato molti. Il film non somiglia a nessun altro. Nulla di già letto, visto o ascoltato e forse nulla del tutto, a giudicare dalle espressioni smarrite degli spettatori che lasciavano l'anfiteatro Debussy. Regista inclassificabile, autore di opere talora deco internazionale («Hiroshima, mon amour», «Lanno scorso a Marienbad»), 87 anni, Resnais ha sempre negato che i suoi film abbiano un messaggio e lo conferma con questo intrigo stupefacente e faceto, ricco di rimbalzi inattesi e disordinati come le erbe cresciute senza logica dalle quali il film prende il titolo.
Veniamo ai personaggi. André Dussollier, dal passato criminale di cui non si saprà niente, tranne che è stato oscuro. Sposato, padre felice, sembra tornato onesto finché non trova un portafoglio in un parcheggio con le foto di una donna, Sabine Azéma, dentista e pilota a tempo perso. Il cinquantenne sinfatua. Il suo cuore, e anche e il resto, è solo un lungo valzer esitante. Ossessionato dalla donna, la chiama, le scrive, la vuole, ma, come nel Boléro «se tu non mi ami, io ti amo, e, se ti amo, bada». La bella sfugge finché lui smette di inseguirla. Non più desiderata, è lei a desiderare. Tocca a lei girare attorno a lui, che non ha ne ha più voglia. Lei lo chiama a ogni ora, torna adolescente. Tutto ciò finirà in un aereo, con un'acrobazia. Alta acrobazia.
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