Condannata al degrado la fontana dell’amore

Non è bastato neanche l’intervento del Fai e di Italia Nostra perché il Comune se ne occupasse

Valeria Arnaldi

Erbacce, sterpi, arbusti che crescono rigogliosi tra i marmi, sporcizia e rifiuti d’ogni tipo lungo il percorso e nelle vasche, l’area circostante trasformata in un acquitrino, senza contare le auto in sosta selvaggia, spesso, proprio dinanzi alla scalinata. È la fontana barocca in piazzale dell’Acqua Acetosa, uno dei gioielli di Roma, nota in passato per la sua fonte «che dà tutto il fondamento di credere - come riporta la settecentesca guida Roma antica e moderna. Una relazione della presente corte di Roma de’ suoi ministri, congregazioni e tribunali - che sia minerale, e perciò si sperimenta molto salubre specialmente per gli attacchi del fegato e della milza, e perciò, suole in abbondanza beversi nella state». Celebrata da Goethe - «la mattina al levar del sole m’alzo dal letto e vado fino all’Acqua Acetosa, una fonte d’acqua acidula; lì bevo l’acqua, molto efficace in questo clima» - e da Stendhal, che la inserisce tra i monumenti da non dimenticare di visitare in un soggiorno romano, la fontana dell’Acqua Acetosa oggi è abbandonata al degrado, di giorno usata come discarica e latrina a cielo aperto, di notte scenario di incontri trasgressivi. Malgrado la vicinanza della sede locale dell’Ama, che fronteggia il monumento nello stesso piazzale, per raggiungere le vasche, oggi di acqua potabile e non più «acetosa», bisogna evitare bottiglie di plastica e vetro, cartacce, pacchetti di sigarette vuoti, scatole e avanzi di cibo, preservativi usati. Decisamente a poco sono valsi i ripetuti appelli dell’Associazione Dimore Storiche Italiane, di Italia Nostra e, perfino, il titolo di «luogo del cuore» conferitole dopo il primo censimento sull’Italia da non dimenticare, indetto dal Fai-Fondo per l’Ambiente Italiano nel 2003. Dopo tanti solleciti, il Comune di Roma, infatti, nel 2004, ha presentato un progetto per il restauro della struttura monumentale e la riqualificazione dell’area che, basandosi sulle incisioni secentesche del Falda, avrebbe dovuto ospitare un piccolo parco. Il progetto, però, solo tale è rimasto con gravi conseguenze per lo stato conservativo del monumento. I marmi, oggi, sono corrosi e crepati in più punti e le diverse lapidi poste nei secoli sono pressoché illeggibili. Sampietrini divelti, colonnotti spezzati, pavimentazione sconnessa e vegetazione selvaggia sono la triste cornice del ninfeo. La fontana ha una lunga storia di interventi e protettori importanti. A volerla fu papa Paolo V che, nel 1613, incaricò l’architetto fiammingo Giovanni Vasanzio, di realizzare una vasca sulla quale fu apposta una lapide che ricordava le proprietà curative della fonte. La salubrità delle acque e la bellezza del luogo valsero alla struttura una sorta di «benedizione» papale: Innocenzo X fece eseguire i primi interventi di restauro dovuti alle frequenti piene del Tevere, Alessandro VII sostituì alla struttura originale, troppo modesta per i suoi gusti e per l’interesse suscitato dalla fonte - era nata la figura dell’acquacetosaro che vendeva in città bottiglie della rinomata acqua -, l’esedra barocca, lungamente attribuita a Bernini, in realtà progettata dal pittore Andrea Sacchi.

In epoca romantica la zona divenne luogo di incontro e passeggiate per innamorati. Abbandonata al degrado e condannata all’oblio, la fontana dell’Acqua Acetosa resta un luogo del cuore dei romani, ma, evidentemente, non delle istituzioni.

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