Sono racconti precisi e senza contraddizioni quelli che descrivono le morbose attenzioni che don Marco rivolse alla bambina di nove anni che gli era stata affidata, dice il pubblico ministero Giancarla Serafini. Per questo - nonostante le proteste di innocenza e le firme di solidarietà raccolte tra i suoi parrocchiani - la Procura chiede che lex parroco di un comune dellhinterland venga condannato a cinque anni per il reato di violenza sessuale. La richiesta è stata avanzata dal Pm ieri mattina, nel processo a porte chiuse davanti alla quinta sezione del tribunale milanese, presieduta da Ilaria Simi de Burgis. La sentenza verrà emessa il prossimo 30 giugno.
La vicenda di don Marco era finita in prima pagina nelle settimane scorse, allindomani dellintervista al Giornale del procuratore aggiunto della Repubblica, Pietro Forno, che denunciava i silenzi della Chiesa italiana sul tema dei sacerdoti pedofili. A destare allarme - secondo Forno - era non solo e non tanto il numero di sacerdoti inquisiti, quanto latteggiamento delle gerarchie cattoliche di fronte ai casi di «devianza» nei propri ranghi: un atteggiamento tutto teso a «evitare gli scandali», anche a costo di permettere ai sacerdoti inquisiti di continuare a commettere reati dello stesso genere. Va segnalato che poco tempo dopo lex cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, era intervenuto sullo stesso tema parlando addirittura di una «tradizione di omertà» in seno alla Chiesa. Eppure le dichiarazioni del magistrato avevano destato un mare di polemiche, e il ministro della Giustizia aveva annunciato lavvio di una ispezione disciplinare a carico di Forno.
A dare riscontro alle accuse del procuratore, era arrivata unintervista al Giornale di G., padre della piccola che aveva denunciato don Marco. Luomo aveva descritto così le reazioni ecclesiastiche, e in particolare dei vertici salesiani, alla denuncia: «Ci hanno chiuso le porte delloratorio. Hanno impedito ai miei figli di fare la comunione e la cresima. Hanno rifiutato la loro iscrizione ai campi estivi. Hanno detto in giro che mia figlia si era inventata tutto perché io volevo estorcere del denaro alla chiesa».
Proprio per smentire questa tesi ieri Anna Thumiger, legale di parte civile, ha depositato in udienza dei documenti per attestare come le condizioni economiche della famiglia - per quanto non agevoli - non giustifichino affatto un ricatto così grave.
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