Quando se n'è andata di casa, ha lasciato la sua scrivania bianca, con la cartina della Francia appesa alla parete, al primo piano di rue de l'Elysée sapendo che non ci sarebbe tornata mai più. Per tanti anni, forse troppi, Claude Chirac è stata l'ombra di papà Jacques, il suo consigliere numero uno, da lei si è lasciato portare ovunque, persino a un concerto di Madonna. Ma adesso basta. A 47 anni Claude, che pesa pochissimo e fuma moltissimo e che non sa vivere senza cellulare, ora è libera di occuparsi di un altro Chirac, Martin, il figlio di 13 anni, che porta il cognome della mamma anche se papà non lo ha mai disconosciuto. Ha lasciato ad altri il posto di figlia di papà. I ragazzi del resto sono fatti così. Hanno deciso di seguire le orme dei padri, senza bisogno di farsi un nome, ma ci vuole poco per disperdere l'eredità di famiglia. Negli Stati Uniti, per esempio, i Kennedy sono ancora un patrimonio: ventinove cugini, sei famiglie diverse, e davanti a tutti un nome che mette i brividi, Robert Kennedy jr. È uno dei leader ambientalisti più tosti d'America e ha qualcosa del carisma del padre «l'unico erede della dinastia di Camelot - ha scritto la stampa Usa - le cui battaglie sono più importanti del nome che porta».
Due figli d'arte senza paura, sono anche Rahul Gandhi e Jaroslaw Walesa, 39 anni il primo, 33 il secondo. Rahul, segretario del partito del Congresso che ha appena vinto di nuovo le elezioni, riassume il passato e il futuro di un Paese: è figlio di Rajiv e Sonia, nipote di Indira, pronipote di Nehru. Dice: «Papà è il mio eroe». Ma è anche l'immagine della nuova India che va alla conquista del mondo: è giovane, fotogenico, single, donnaiolo ma non troppo, ha studiato all'estero e lavorato come manager. Praticamente perfetto. Anche Jaroslaw ha studiato da leader negli Usa, è il quarto degli otto figli di Lech, «ma non sono certo uno strumento nelle sue mani». Sta con Piattaforma Civica, liberali, non ha mai rinunciato ai suoi valori cattolici ma non è contrario ai matrimoni gay, è uno dei parlamentari più giovani, gli piace arringare le folle in jeans, non ama le rivoluzioni «tranne quella che ha fatto papà...».
Il nome è un privilegio ma è soprattutto un destino. Da spendere per salvare il mondo, meglio se fuori dal Palazzo. Irina Gorbaciova, la principessa della perestroika, l'unica figlia dell'ultimo capo dell'Unione Sovietica, ha abbandonato la carriera di medico per seguire il padre: è vice presidente della fondazione che porta il suo nome, lavora a progetti umanitari, acqua e bambini prima di tutto, e non ha mai smesso di credere a una «Russia libera e democratica come la sogna papà». Deng Rong, figlia prediletta dell'uomo che stroncò la rivolta di Tienanmen, ha cercato con i suoi libri di rivalutare la figura del padre, ma con pochi risultati. È stata deputata al Congresso del Popolo, faceva parte della rappresentanza diplomatica cinese alla Casa Bianca. Oggi è vicepresidente dell'Associazione Cinese non governativa per i Contatti e le amicizie internazionali. Cioè un po' tagliata fuori.
Nel nome del padre assassinato combatte anche Camilla Sadat: ha insegnato a Harvard come esperta di Medio Oriente, è ambasciatrice per la pace di alcune associazioni non governative arabe, si batte contro i fondamentalisti per i diritti civili e l'indipendenza delle donne musulmane come lei. Rischia, come ha sempre fatto papà. Che invece Alina Castro odia: lo combatte da più di vent'anni, è a modo suo un Líder Máximo ma per gli esuli cubani. Non hanno avuto vita facile i rampolli. Camilla Sadat si è sposata a 12 anni, Claude Chirac è rimasta vedova a 30, Rajiv Gandhi ha visto uccidere il papà, Deng Rong morire il fratello, suicida, dopo le torture subite dalle Guardie rosse, dei Kennedy si sa.
Anche a Saad Hariri e Ramzan Kadirov un attentato terroristico ha strappato papà. Ma il primo guida il partito del Futuro, sunnita e anti siriano, si batte per un Libano libero e democratico e perché gli assassini di suo padre vengano giudicati da un tribunale internazionale.
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