Condannati per pedofilia, insegnano a scuola

Per un prof che ha abusato di tre quattordicenni solo un rimprovero scritto

Condannati per pedofilia, insegnano a scuola

da Roma

Sospetti pedofili alla gogna, pedofili conclamati in cattedra. C’è qualcosa di paradossale e schizofrenico nel modo in cui in Italia i reati sessuali in ambito scolastico influenzano la vita non solo delle vittime ma anche dei carnefici, veri o presunti. Con l’assurdo risultato che spesso il conto più salato, anche a livello lavorativo e sociale, lo paga chi viene sfiorato dal sospetto e si ritrova indagato del reato più odioso all’alba di un’inchiesta. Mentre quando un insegnante o un bidello vengono inchiodati alla propria colpevolezza da tre gradi di giudizio, subentra un’incomprensibile quanto diffusa indulgenza.
Esemplare, nel primo caso, la vicenda dell’asilo di Rignano Flaminio. Indagini a dir poco controverse, smontate dal Riesame di Roma, insieme alla carcerazione preventiva per sei degli indagati, sono bastati a spaccare in due un paese. Ora diviso in due fazioni ugualmente irrazionali, tra chi considera l’iscrizione nel registro degli indagati una sentenza di condanna e chi giura a priori sull’innocenza di maestre, bidelle e degli altri protagonisti dei fatti di Rignano.
D’altra parte non sempre aspettare il termine del giudizio porta a conclusioni ragionevoli. Anzi. Dal 2001 a oggi, su 47 casi esaminati di dipendenti dell’amministrazione scolastica condannati con sentenza definitiva per violenza sessuale, sfruttamento della prostituzione e pornografia solo in 23 occasioni insegnanti e bidelli sono stati licenziati o destituiti al termine del procedimento disciplinare. Ben 18 dipendenti del ministero dell’Istruzione sono ancora al loro posto. E gli altri sei si sono dimessi volontariamente o sono andati in pensione.
A sottolineare il fenomeno, è una relazione della Corte dei conti sulla gestione dei procedimenti disciplinari da parte della pubblica amministrazione presentata a metà del 2006, che dedica un intero capitolo agli «esiti dei reati di violenza sessuale negli istituti scolastici». E va giù pesante. Parla di «mancata o scarsa considerazione da parte del sistema disciplinare delle istituzioni scolastiche nel suo complesso, verso gli interessi di genitori e alunni». Evidenzia come già in una precedente relazione del 2001 «per i reati a sfondo sessuale si era potuto accertare che i primari interessi consistenti nella prevenzione, nel rigore verso i condannati, nella vigilanza, nella certezza dei rimedi, venivano spesso conculcati e sacrificati alla logica della tolleranza verso dipendenti condannati per reati di pedofilia e di violenza nei confronti di minori», e come «la situazione attuale non è migliorata». Colpa di un sistema malato, di organi consultivi poco preparati, di sforamento dei termini, di errori e di difetti di comunicazioni. Il risultato? Professori condannati per atti di libidine su allievi che restano in servizio per anni e poi, a sentenza divenuta definitiva, scontano blande sanzioni. Dipendenti che patteggiano una condanna per violenze su minori ma vengono assolti dagli organismi disciplinari scolastici. «Casi gravissimi di reati sessuali con minorenni», sintetizza la relazione della Corte dei conti, «hanno quale esito sospensioni dal lavoro oscillanti tra un giorno e dieci giorni». Persino l’interdizione dai pubblici uffici, notano i magistrati contabili, non sempre viene fatta rispettare. E il tempo medio che trascorre tra il reato commesso e la sospensione cautelare è di 575 giorni. Insomma, il meccanismo disciplinare è «traballante», e il «contesto fortemente patologico - spiega la relazione - è riconducibile, dal punto di vista causale, sia alle norme che regolano la pubblica istruzione, sia ai comportamenti adottati dagli organismi amministrativi della scuola». Quanto basta per «indurre a ripensare integralmente la funzione disciplinare nella scuola, concentrandola in organismi tecnici snelli e neutrali», chiosa la relazione della Corte dei conti. Che sul merito snocciola molte storie «esemplari». Da brivido. C’è il professore di educazione fisica campano, condannato nel 2002 per atti continuati di libidine violenti, risalenti al 1992. Resta in servizio per 12 anni nella stessa scuola dove ha commesso i reati, solo nel 2004 viene sospeso per sei mesi ma la sanzione «pur benevola» viene impugnata. E l’uomo torna al suo posto di lavoro. C’è il vicepreside di un liceo toscano che patteggia 20 mesi per aver «compiuto tra 1990 e 1993 numerosi atti di libidine violenti nei confronti di diverse alunne dopo averle convocate nell’ufficio di presidenza o in automobile, nella pubblica via». La sentenza è definitiva nel ’98, ma ad aprile 2001 il provveditore archivia il procedimento disciplinare, anche in considerazione delle «attestazioni e l’apprezzamento per il particolare e notevole impegno profuso in questi anni come collaboratore del capo d’Istituto».

Infine, l’insegnante pugliese che nel 2002 patteggia una condanna per aver violentato tre minori di 14 anni, dentro la scuola. Ma l’organo consultivo, il Csa di Foggia, si limita a un «rimprovero scritto». Sarebbe ancora in servizio, ma si è dimesso lui.

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