Roma«Cè amarezza, dispiacere. Un finale così non me lo aspettavo». Alfredo Gasponi, il critico musicale del Messaggero a cui una sentenza ha negato il diritto di critica, racconta la sua storia paradossale. Qualche tempo fa è stato condannato in appello a pagare, di tasca propria, quasi mezzo milione di euro a unottantina di professori dellorchestra di Santa Cecilia, che si sono sentiti diffamati per il contenuto di unintervista al direttore dorchestra Wolfgang Sawallisch. Era marzo del 96, e il Maestro tedesco criticava garbatamente la presenza nellorchestra di Santa Cecilia di troppi «aggiunti» presi dal conservatorio per integrare i musicisti stabili. Nientaltro che «un piccolo allarme», spiegava lo stesso Sawallisch. Ma è sul titolo di prima pagina («A Santa Cecilia non sanno suonare») che i giudici si sono concentrati.
Titolo che non è stato lei a fare, giusto?
«Ovviamente. Io sono un collaboratore, non un redattore, non intervengo in alcun modo sulla titolazione né sulla collocazione dellarticolo, né tantomeno ho redatto il richiamo in prima pagina, quel non sanno suonare».
I giudici forse non lo sanno. Si aspettava questo epilogo?
«No, non me lo aspettavo. AllAccademia di Santa Cecilia in ventanni avrò dedicato duecento articoli, rilevandone la qualità artistica e, spesso, appoggiando le sue istanze, come la necessità della costruzione del nuovo auditorium. Anche se con dispiacere, pensavo che fosse doveroso riportare quanto uno dei grandi direttori di questa istituzione aveva detto. Non potevo mica censurarlo».
Non prevedeva la reazione degli orchestrali «offesi»?
«Dopo aver spedito lintervista alla redazione, ho posto alla redazione il problema del diritto di replica alle parole del Maestro, e ho fatto presente che era meglio sentire anche gli orchestrali e il presidente dellAccademia. Cosa che è stata fatta».
Vuol dire che in pagina, accanto alle critiche di Sawallisch, cera anche la «voce» di Santa Cecilia?
«Certo. Parlavano alcuni dei musicisti, e il presidente venne intervistato da un collega del giornale. Tra laltro cera un certo riconoscimento dei problemi sollevati dal direttore dorchestra nellintervista. Mi sembrava che il quadro fosse completo... ».
Invece cè stata una coda giudiziaria. Ma tra i musicisti che lhanno citata cera qualcuno che conosceva?
«Con molti dei professori avevo studiato insieme in conservatorio, altri erano stati addirittura miei allievi di storia della musica. Parliamo di rapporti umani che duravano da tantissimo tempo, e che non hanno significato niente. Cè stato solo un accenno di dialogo, diverso tempo dopo, che non ha avuto seguito. Ed è stato motivo di ulteriore amarezza».
In questi 14 anni lei si è occupato ancora dellAccademia?
«Ho continuato a scriverne senza problemi dopo la prima sentenza, che ancora non comprendeva la sorpresa del risarcimento. Sempre mantenendo con tutti un rapporto cordiale, ma con la distanza necessaria tra il critico e loggetto della critica. Dopo la sentenza di appello però sono stato meno sereno, e ho chiesto e ottenuto dalla redazione di non scriverne più».
E Sawallisch lha risentito?
«Lho intervistato molte altre volte, sempre in grande tranquillità. Daltra parte fu lui stesso a volermi rilasciare una dichiarazione di suo pugno a proposito di quellintervista: Non ha travisato le mie parole e il mio pensiero e ha scritto la verità, scrisse. In unintervista successiva riparlò del caso, disse che le critiche avanzate avevano avuto un buon esito: lorchestra aveva ritrovato lo smalto che lui cercava. Era circa un anno e mezzo dopo».
Smalto ritrovato a caro prezzo, per lei. Che lezione ha imparato da questa vicenda?
«Ho sempre pensato, e continuo a pensare, che lorchestra è un organismo composto da molte persone. Legate luna allaltra. Quindi se una parte dellorchestra non funziona, ne risentono tutti. Se la Ferrari perde un gran premio per colpa di un semiasse, la notizia è che si è fermata la Ferrari. Poi si indagano i motivi della disfunzione. Ora mi rendo conto, ma è una riflessione più che un insegnamento, che un appunto rivolto contro lorganismo può essere recepito come critica personale da alcuni che dellorganismo fanno parte. Il presidente dellAssociazione stampa romana Fabio Morabito ha riassunto il mio caso con unaltra metafora sportiva. Se il Barcellona vince con quattro gol di Messi e un giornale titola Messi conquista la semifinale, gli altri calciatori del Barcellona possono offendersi o addirittura ritenersi diffamati?».
Nel dubbio meglio non suggerirlo a Ibrahimovic e compagni. Paradossi a parte, quel pezzo lo scriverebbe identico, oggi?
«Ho ancora la registrazione. Chiedo due volte al Maestro se devo scrivere quelle critiche. Se mi dice di sì, cosa devo fare? Come potrei cambiare anche solo una virgola? Non lho fatto allora e non lo rifarei.
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