Quando la Fao occupa la scena, se ne vedono di tutti i colori. Il più delle volte la rappresentazione ha toni patetici, dato che ci costringe ad ascoltare funzionari super-pagati di un organismo quanto mai parassitario che tengono sermoni laici (ma intrisi di moralismo) sulla necessità che gli Stati aumentino il loro contributo a quella medesima greppia. L'altro giorno, sul palco romano è apparso perfino Robert Mugabe, che ha messo i panni dell'inquisitore, attaccando i Paesi occidentali per quella povertà dell'Africa di cui egli, da un trentennio, è uno dei primi responsabili. Fortunatamente questo miserevole spettacolo sta iniziando a disgustare un po' tutti. Manca ancora, però, la consapevolezza che non soltanto si è fatto un cattivo uso degli aiuti al Terzo Mondo, ma che l'idea stessa degli aiuti è sbagliata. Ad aiutarci a comprendere meglio le cose viene in nostro aiuto, ora, la recente traduzione di un volume di Peter Bauer: Dalla sussistenza allo scambio: uno sguardo critico sugli aiuti allo sviluppo (edito da Ibl Libri).
Ungherese di nascita e inglese d'adozione, Bauer è l'economista che per primo ha studiato in maniera rigorosa le logiche dello sviluppo post-coloniale, arrivando alla conclusione che gli aiuti pubblici - nella maggior parte dei casi - aggravano la situazione. I sussidi da Stato a Stato «aumentano le risorse, le clientele e il potere dei governi (ossia dei governanti)», quando invece il maggiore ostacolo alla crescita è dato proprio da un eccesso di potere pubblico.
Esaminando da vicino la realtà della Malesia e di alcune economie dell'Africa occidentale, fin dagli anni Sessanta Bauer vide come vi fosse uno straordinario potenziale imprenditoriale in ogni società, ma come esso fosse quasi sempre compresso dalle politiche fiscali e regolatorie. In questo senso, fare affluire risorse ai governi significa aumentare la dipendenza dell'economia dai politici e l'intermediazione gestita dall'apparato burocratico. Invece che regalare soldi, dice Bauer, dobbiamo offrire ai Paesi poveri nuove opportunità: in primo luogo, aprendo i nostri mercati ai loro prodotti agricoli e di altro tipo.
Nella sua riflessione lo studioso mostra come tanto la sinistra quanto certo cattolicesimo progressista abbiano dato un contributo decisivo all'edificazione di un meccanismo di redistribuzione globale che ha causato più danni che benefici, generando pure debiti pubblici altissimi in larga parte dell'Africa. È normale: quanti non hanno compreso come solo l'intrapresa e lo scambio generano ricchezza, non sono in grado di capire quali siano le giuste ricette per uscire dalla povertà.
Nel libro egli esamina anche uno straordinario caso di successo: Hong Kong. Senza materie prime e con un'alta densità demografica, da molti decenni la città cinese ha vinto la povertà non con sostegni esterni (che non ci sono stati), ma invece grazie all'adozione di un ordine giuridico volto a tutelare al meglio la proprietà e a ridurre ogni pressione tributaria e regolamentare. In questo modo, la città ha progredito a straordinaria velocità, rappresentando la punta di un iceberg che da tempo include pure Singapore, Taiwan e la Corea del Sud.
Bauer non si limita a spiegare che gli aiuti tolgono l'incentivo a lavorare. Egli mostra anche come tale afflusso di denaro ostacoli la realizzazione di quel quadro normativo e, insomma, delle buone regole necessarie a ogni popolo per progredire. Non solo, in altre parole, con gli aiuti al Terzo Mondo abbiamo puntellato regimi sanguinari e dittatorelli socialisti, ma abbiamo anche favorito la dilatazione degli apparati burocratici che pesano sulle economie dei Paesi poveri.
Oggi la lezione di Bauer inizia ad essere ascoltata.
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