Confindustria? E' il primo partito d’Italia

Strutturata come una forza politica ma immensamente più ricca e influente, da sempre condiziona la vita del Paese, stando dietro le quinte. Ecco il colosso da 4mila dipendenti guidato dalla Marcegaglia

Confindustria? E' il primo partito d’Italia

Una struttura gigantesca e potentissima, con le stesse dinamiche di un partito (con tanto di scandali, guerre intestine e conflitti di interesse) ma al tempo stesso forte di un potere economico inimmaginabile per i partiti «classici». Questa è la Confindustria descritta dal giornalista economico e saggista Filippo Astone in «Il partito dei padroni. Come Confindustria e la casta economica comandano in Italia» (Longanesi, 384 pagine), di cui pubblichiamo alcuni stralci. Il saggio, pubblicato a maggio scorso, svela i meccanismi e le complesse alchimie interne a Confindustria, spiegando perché è così influente e come funziona il suo potere, quali sono le leggi che ha imposto e in che modo vuole ridisegnare il Paese.

Filippo Astone

L'enorme potere di Confindustria
Dopo aver illuminato le due facce del «mostro», è ora ne­cessario spiegare per bene che cosa è Confindustria e quanto potere e popolarità detiene in Italia. Come la Chiesa cattolica, Confindu­stria è assimilabile a un parti­to. Per capire le ragioni di que­st­o accostamento si può rileg­gere la famosa definizione di Max Weber, per il quale un partito politico è«un’associa­zione rivolta a un fine delibe­rato, sia esso oggettivo come l’attuazione di un program­ma avente scopi materiali o ideali, sia personale cioè diret­to a ottenere benefici, poten­za e pertanto onore per i capi e seguaci, oppure rivolto a tut­ti questi scopi insieme». Cer­to, Confindustria non è un monolite. Al suo interno con­vivono - e talvolta pure con­fliggono - un centro, una de­stra e una sinistra. Ma le cor­renti hanno sempre reso viva­ce la vita di qualunque movi­mento politico che si rispetti. Persino quella della Chiesa cattolica. Al vertice spetta la sintesi,e quindi l’ultima paro­la.

Il mestiere di Confindustria
Per capire a che cosa serva, o dovrebbe servire, Confindu­­stria, si può pensare a una spe­cie di quadrato. Il primo lato è l’interlocutore del governo e del mondo politico sui temi economici, fiscali e contrat­tuali. Il secondo negozia con i sindacati il rinnovo dei con­tratti e rappresenta le aziende iscritte in tutto ciò che riguar­da le relazioni industriali. Il terzo lato dovrebbe fornire servizi agli iscritti su materie che vanno dal fisco all’ener­gia, dall’internazionalizzazio­ne alle strategie. Il quarto lato è un movimento politico-ide­ologico che esprime un pen­siero politico. In Italia, il potere di Confindu­stria è enorme, e si è intensifi­c­ato particolarmente negli ul­timi anni, durante i quali è riu­scita a dettare l’intera agenda al centrodestra: la privatizza­zione degli enti pubblici loca­li, la riforma della contratta­zione, la defiscalizzazione de­gli straordinari, la mancata ri­forma degli ammortizzatori sociali nel loro complesso, il mantenimento di forme con­trattuali che consentono il di­lagare del lavoro precario e senza diritti, la riduzione del­l­e sanzioni nel campo della si­curezza sul lavoro, la riduzio­ne delle cogenze ispettive, la riforma del processo del lavo­ro e diverse altre norme e ini­ziative. In Italia il presidente di Con­findustria è una delle figure istituzionali di massimo rilie­vo, paragonabile a premier, presidente della Repubblica, governatore della Banca d’Ita­lia, ministro dell’Economia e ministro degli Esteri. In molti lo chiamano la «quinta carica dello Stato». Basta una sua di­chiarazione, anche banale, per renderlo protagonista del­le prime pagine dei giornali e dei tg. A livello locale, ormai è più al­to il livello di scontro per la presidenza della Confindu­stria provinciale che non quel­lo per la carica di sindaco, co­me è avvenuto nell’estate 2009 a Milano, Venezia, Vero­na e Genova. «A far gola non sono solo la visibilità e il con­trollo della struttura», mi dice un imprenditore del Nordest che non desidera essere cita­to, «ma il fatto che i personag­gi con alte cariche confindu­­striali, e le loro aziende, entra­no a far parte di una lista di in­toccabili, guardati con occhio di riguardo dalla politica che concede autorizzazioni e li­cenze, privilegiati nell’acces­so al credito e ai contributi di Stato». In Francia, unico Paese euro­peo oltre all’Italia dove il Pa­tronat (così si chiama l’equi­valente della Confindustria) ha un significativo peso politi­co, il suo leader è comunque una figura di seconda fila ri­spetto alle massime cariche istituzionali, nota a chi si oc­cupa di cose economiche e sindacali e a pochi altri. Negli altri Paesi europei, sempre che esista una federazione unica delle imprese, ben po­chi conoscono anche solo il nome di chi la presiede. Confindustria rappresenta 142mila imprese, che danno lavoro a 4,9 milioni di perso­ne. Nel 2008 ha ricevuto con­tributi dalle aziende per un controvalore di 506 milioni di euro. Se a questa cifra si som­mano i ricavi delle società controllate, si arriva a un giro d’affari di quasi un miliardo di euro, una ricchezza che qualunque partito o sindaca­to europeo non oserebbe nep­pure sognare. Praticamente, è il doppio dei fatturati di aziende come Beretta (573 mi­lioni di euro, tra i leader mon­diali nel settore delle armi) o Ducati (469 milioni, anch’es­sa leader globale, ma nelle moto). Confindustria ha circa 4mila dipendenti. Pochi me­no, tanto per fare un raffron­to, di quelli del ministero de­gli Esteri che, con una rete di consolati e ambasciate sparsi ovunque nel mondo, impiega circa 4.800 persone. Confin­dustria e sindacati gestiscono Fondimpresa, un fondo per le iniziative di formazione finan­ziato con il versamento dello 0,3% del monte salari. Fon­dimpresa ha un budget di 160 milioni di euro all’anno e fino a oggi ha accumulato risorse per un totale di 800 milioni, so­lo parzialmente utilizzati. Inoltre, Confindustria è pro­prietaria del Sole 24 Ore , il ter­zo giornale del Paese nonché primo quotidiano finanziario europeo: le 330mila copie che diffonde sono superiori a quelle del Financial Times e del Wall Street Journal . Possie­de anche la seconda universi­tà privata italiana di econo­mia dopo la Bocconi, ovvero la Luiss di Roma, e una galas­sia di aziende che vanno da Alinari (storico marchio delle foto) a Esa (software). Non­ché enti di certificazione co­me Imq (Istituto marchio di qualità) e Unisider (siderur­gia). Ultima ma non meno im­­portante notizia, Unindustria Verona e Unindustria Vicen­za, le associazioni provinciali locali di Confindustria, con­trollano l’Athesis, società che pubblica i quotidiani locali L’Arena , il Giornale di Berga­mo e il Giornale di Vicenza . L’Athesis, a sua volta, possie­de l’editore di libri Neri Poz­za. Anche la ramificazione sul territorio è così vasta e capilla­re da non avere eguali in Euro­pa. L’apparato di Confindu­stria è composto, oltre che dal­la sede romana, da 18 organiz­zazioni regionali, 21 federa­zioni di settore, tre federazio­ni di scopo, 97 organizzazioni di categoria, 258 organizzazio­ni associate.

Il forte consenso di Confindustria
L’apparato non è però il mag­gior punto di forza di Confin­dustria.

La potenza del Parti­to dei padroni sta nella capa­cità di produrre idee impo­ne­ndole attraverso un effica­ce lobbying politico. I deside­ri di Confindustria ispirano tutta la politica dell’attuale maggioranza di governo su temi importanti come il lavo­ro, il welfare, le pensioni, i servizi pubblici, l’energia e la scuola.  

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