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Confindustria: recessione finita, l’Italia riparte

L’azzurro tenebra è tutto concentrato sull’Italia pallonara della clamorosa bancarotta sudafricana. Sull’altra Italia, quella vera, quella che produce nonostante l’esercito di evasori e i troppi disoccupati, il cielo è invece un po’ più blu. «La recessione è finita», sentenzia la Confindustria nell’ultimo rapporto del Centro studi. Bye bye, crisi: adesso è il momento di riprendere il passo dello sviluppo dopo il periodo buio della decrescita, quando i segni meno scandivano il passo da gambero del Pil tricolore. E se nel calcio il made in Italy è oggi un marchio non esportabile, nell’economia possiamo invece sfruttare la capacità dei nostri prodotti di imporsi oltre confine. Ma «la strada per la piena ripresa sarà lunga - avverte la presidente degli industriali, Emma Marcegaglia - : la produzione industriale è prevista tornare ai livelli pre-crisi solo fra cinque anni o più».
Per ora, spiegano gli analisti di viale dell’Astronomia, la penisola deve accontentarci di un «recupero parziale», anche se la ripresa si profila più solida rispetto alle stime di dicembre: l’espansione è attesa all’1,2% quest’anno e all’1,6% nel 2011 (le precedenti stime erano di +1,1% nel 2010 e di +1,3% nel 2011). E questo al netto dell’impatto che la manovra del governo all’esame del Parlamento avrà sull’economia. Un effetto che Confindustria quantifica in uno 0,8% nel biennio 2011-2012. I segni lasciati dal ciclo recessivo si faranno però ancora sentire: la contrazione del 6,8% accusata tra il primo trimestre 2008 e il secondo trimestre 200, infatti, si trascinerà nel tempo e nel dicembre 2011 la distanza dal picco precedente sarà ancora del 3,3%.
Allo stesso tempo, vanno ancora sanate le ferite sull’occupazione provocate dalla crisi. Confindustria stima che tra il primo trimestre 2008 e il quarto trimestre 2009 sono stati bruciati 528mila posti di lavoro, un numero che sarebbe stato più alto senza il paracadute della cassa integrazione. Ma tamponare l’emorragia non sarà facile. Anzi: il rapporto mette in conto un aumento del tasso di disoccupazione dall’8,6% di quest’anno al 9,2% del 2011, un valore peraltro cui è già molto vicino il 9,1% calcolato dall’Istat per il periodo gennaio-marzo 2010. In pratica, stando alle stime confindustriali, tra quest’anno e il prossimo si assisterà a un ulteriore calo di 246mila posti di lavoro. Questo fenomeno è comunque considerato dalla numero uno degli imprenditori «fisiologico perché l’effetto della crisi sull’occupazione è spostato nel tempo. Ora siamo vicini ai picchi».
Le imprese potranno garantire un recupero dell’occupazione se riusciranno a recuperare competitività e produttività. Questo vale per Fiat e per tutte le altre aziende. «La Germania - spiega Marcegaglia - ha aumentato i salari meno dell’aumento di produttività», ed è «di 30 punti ora il gap con l’Italia», dove il rapporto tra buste paga e produttività è su «livelli che non si possono reggere». Tanto più in ragione di una pressione fiscale insostenibile che, secondo il Centro studi, è pari al 51,4% del reddito italiano contro il 43,2% ufficiale. Questa percentuale potrebbe essere abbattuta del 16% se l’evasione fiscale venisse eliminata. Il rapporto calcola che l’evasione vale 124 miliardi di euro, una cifra cinque volte superiore all’ultima manovra. L’effetto può essere tradotto: senza evasori si può avere in media 1.200 euro di aumento netto delle retribuzioni («Un aumento che nessuna impresa può concedere», dice la leader di Confindustria) e ridurre di 1.600 euro il costo del lavoro. Marcegaglia non ha dubbi sulle aree su cui intervenire nella lotta contro chi non paga le tasse: «Sicuramente su tutto, ma in particolare dove l’evasione è maggiore, su Iva e Irpef».
Su questo fronte molto resta da fare. La Corte dei Conti ricorda infatti che, anche se la lotta all’evasione va bene (nel 2009 ha segnato un +19,8% per le riscossioni complessive, pari a oltre 7 miliardi), secondo le ultime stime dell’Istat l’economia «non osservata costituita dal sommerso» (un dato più ampio dunque) è compresa tra 227 e 250 miliardi. Abbastanza insomma per rimettere in sesto le finanze pubbliche. In base al rapporto confindustriale, il deficit-Pil si attesterà al 5,1% nel 2010 per poi scendere al 4,1% nel 2011.

Il debito invece sarà pari al 118,5% del Pil nel 2010 per poi salire al 118,9% nel 2011.

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