di Stefano Parisi
Finalmente si discute di economia e di crescita. Magari i toni sono ancora faziosi, i pregiudizi (vedi quelli di Giuliano Ferrara sulla Confindustria) ancora presenti, i buoni e i cattivi (Marchionne vs Marcegaglia?) ancora opposti, ma alla fine si discute di futuro e di sviluppo! Ottimo! Certamente il fatto che il presidente del Consiglio abbia rilanciato l’iniziativa del governo su crescita, liberalizzazioni e Sud è una grande opportunità da cogliere. Positiva. Vogliamo che il governo governi? Che la maggioranza non sia distolta da polemiche interne che hanno rallentato per mesi l’attività di governo? Vogliamo un’opposizione che misuri il governo sulle politiche e non che cerchi di demolire qualunque iniziativa purché si raggiunga l’obiettivo di eliminare Berlusconi? Bene. Forse questa è l’occasione. Forse. Ma andiamo a vedere. È nostro dovere. Le rappresentanze degli interessi di parte, quelle delle imprese, come quelle dei lavoratori, non dovrebbero mai fare politica, mai entrare nella polemica tra i partiti, evitare giudizi e posizioni che non siano pertinenti agli interessi rappresentati. Mai condizionare i loro comportamenti a fini politici, sganciarsi da qualunque collateralismo, e soprattutto, evitare qualunque opportunismo. In questi tempi così drammatici per la politica, poi, dove ogni giorno assistiamo a rivolgimenti di fronte, ogni settimana è quella decisiva per il futuro del governo e della legislatura, puntare su una soluzione piuttosto che sull’altra è, quantomeno, imprudente. Questa «indipendenza» dalla politica, dunque, non è tanto un’esigenza etica (dietro la quale spesso si nascondono le peggiori partigianerie) quanto una necessità operativa. Poter difendere gli interessi rappresentati in qualunque quadro politico. Non tutte le associazioni di rappresentanza seguono questo principio. A cominciare da una parte del sindacato, che sembra un partito. Ma anche nel mondo delle imprese si arriva all’estremo di chi, per compiacere una parte politica sostiene misure che danneggiano persino i propri rappresentati. È il caso di chi, pur provenendo dal nostro mondo, sostiene la patrimoniale! Dunque noi di Confindustria dobbiamo stare fuori da polemiche e strizzatine di occhi, ma dobbiamo guardare al quadro economico complessivo. Se in Italia il governo si mette in condizione di lavorare, di promuovere una politica di sviluppo dobbiamo esserci, insieme alle altre organizzazioni di rappresentanza che in buona fede vogliono lavorare per fare uscire il Paese dal pantano in cui si trova. Di recente Emma Marcegaglia ha annunciato, in un’intervista al Corriere della Sera , un’importante riforma di Confindustria. Ha detto: meno convegni e più servizi alle imprese, meno dibattiti e più azione. È giusto. Sono sempre stato profondamente convinto che Confindustria debba usare il suo straordinario patrimonio associativo del più grande sistema di rappresentanza d’Europa in modo molto più concreto, molto più aderente alle esigenze effettive degli associati. Nei convegni di Confindustria ci si lamenta spesso del nostro sistema economico, inefficiente e a bassa produttività, della pubblica amministrazione pletorica e costosa, che neanche paga i suoi fornitori, dell’eccesso di pressione fiscale, dell'obsolescenza del sistema educativo, della rigidità del mercato del lavoro, della incapacità del nostro paese di attrarre investimenti dall’estero. Però poi quando si passa dalle parole ai fatti qualcuno si spaventa. Rompere le corporazioni, liberare i mercati, rendere flessibile il mercato del lavoro, esigere il rispetto dei contratti di lavoro dalle organizzazioni sindacali, riformare la pubblica amministrazione, non sono cose indolori, non sono cose da Santa Margherita Ligure o da Capri. Sono cose che hanno un costo sociale, che toccano interessi economici, anche del mondo delle imprese. Mantenere lo status quo è certamente meno oneroso, ma uccide la nostra economia. Dunque la Confindustria deve aiutare questo processo di riforma. Non può stare certo a guardare. E la Confindustria di Emma Marcegaglia ha tante volte dimostrato di esserci. Ha riformato il sistema contrattuale, c’è stata quando si è fatta la riforma dell’università, delle pensioni, e ha detto la sua anche sul federalismo, forse poco ascoltata ma certo non si è tirata indietro. E ha sostenuto il governo sul rigore di finanza pubblica anche quando era difficile convincere i propri associati. Ed è stata accanto alle sue aziende anche quando le battaglie erano difficili e per il momento, perdenti, come quelle sui pagamenti della pubblica amministrazione e sulla riduzione dell’Irap. D’altro canto forse non si ricorderà ma 10 anni fa, nella primavera del 2001, Confindustria elaborò una proposta molto simile a quanto enunciato dal presidente del Consiglio la scorsa settimana. Era molto concreta, allegammo le analisi e i provvedimenti da adottare. Stimolo all’economia, riduzione della pressione fiscale, (iniziando dal Mezzogiorno, finanziandola con la eliminazione di tutti gli incentivi), riforma dell’università, delle pensioni, liberalizzazioni. Obiettivo: crescita al 4%. Fu accolta in modo molto positivo dal governo in carica. Lo stesso di oggi.
Poi arrivò l’11 settembre che cambiò l’agenda di tutti i governi occidentali. Si fece solo la riforma del mercato del lavoro. E non fu poco. Oggi si può ripartire da lì. E la Confindustria darà il suo contributo. Ne sono certo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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