Ha vinto la sua sfida personale con la montagna più impervia del pianeta e adesso è lunico tra gli scampati della tragedia del K2 ad aver raggiunto la vetta e completato la discesa, malgrado un principio di congelamento dei piedi. Ma, ora che è al sicuro al campo base, a 5.000 metri di altitudine, Marco Confortola ammette di avere un grosso debito con la buona sorte, che non lo ha mai abbandonato in una impresa funestata da calamità naturali continue e probabilmente affrontata senza la dovuta attrezzatura e una compagnia allaltezza. «Credo che siamo arrivati in ritardo sulla vetta del K2 - ha ammesso - per colpa del materiale scadente. Volevamo posare 300 metri di corda sul traverso, ma ci siamo accorti che cerano solo 100 metri di corda molto valida e nel pezzo restante abbiamo dovuto mettere del cordino di plastica con cui non leghi nemmeno il fieno del bestiame».
Questo imprevisto ha sicuramente creato frizioni, nel gruppo, al punto che, oggi, Confortola ha chiamato sarcasticamente alcuni compagni «i professori», che vantavano una preparazione tecnica inferiore a quella necessaria. Ma allimprudenza legata alla attrezzatura inadeguata si è poi aggiunta la furia della montagna. Da qui il disastro. Come lui stesso ha raccontato ad Agostino Da Polenza, il coordinatore dei soccorsi dopo la conquista della cima, il K2 ha mostrato il suo volto feroce, con ripetuti crolli del seracco e una valanga: «Sono arrivato in vetta intorno alle 19 - ha raccontato - insieme con gli olandesi. Eravamo già in ritardo, abbiamo scattato quattro foto di numero e siamo scesi giù, ma è qui che è cominciato il disastro».
Il crollo del seracco travolge le corde fisse, ciascun scalatore sceglie una propria via di discesa; Confortola vede i corpi di tre compagni coreani appesi nel vuoto e non riesce a prestare loro soccorso, ma questa visione raccapricciante è solo lassaggio di quello che lattende. Mentre scende dal collo di bottiglia un terribile boato annuncia la valanga che gli strappa «Jesus», lirlandese Gerard McDonnell. Sulla neve di lui restano solo gli scarponi.
Da sabato a oggi i quattro giorni che hanno costretto Confortola a restare aggrappato alle pareti del K2 sono stati «un vero inferno». «Sono contento di essere vivo, mi rendo conto che sono morti tutti», è stata la sua prima frase liberatoria non appena arrivato stamani al campo base. Nonostante un principio di congelamento ai piedi che potrebbe costargli lamputazione di qualche dito. La pioggia prima e la neve poi che si sono abbattute nella valle, hanno fatto sfumare lipotesi di un soccorso in elicottero al campo base avanzato, a circa 5.300 metri. Stremato dalla fatica e con un dolore lancinante ai piedi, grazie allaiuto di dieci compagni, Confortola ha compiuto anche lultimo tratto, fino ai 5.000 del campo base. «Non molliamo, avanti tutta. Non è quello che abbiamo sognato?», il suo scatto dorgoglio parlando con Agostino Da Polenza, appena arrivato sano e salvo al campo base.
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