Confronti Massimo riuscirà a far dimenticare la Squadra di papà?

Ora è l’ora. L’ora di una risposta, il momento per riscoprire se padre contro figlio stavolta vale un progetto, segna un punto d’arrivo, giustifica un’idea. Se finalmente andrà in scena Moratti contro Moratti. Se sia sacrilego, oppure no, dire che questa Inter può giocarsela con quell’altra. Se finalmente risolveremo l’annosa questione: quando l’Inter di Massimo farà dimenticare quella di Angelo? Mai, diranno gli inesauribili romantici. Forse è giunto il momento, potrebbero replicare ruvidi realisti.
In questa semifinale l’Inter gioca contro la squadra più forte del mondo (anche se Mourinho non è d’accordo). Il Barcellona sta dimostrando di esserlo da due anni (terza semifinale consecutiva). E poco cambierà se stavolta non ce la farà ad andare in finale di Champions: chi ha occhi, capisce. L’Inter di Massimo Moratti mai si è trovata davanti ad una squadra tanto forte in situazione altrettanto importante. Parliamo di semifinale di Champions, non di gironi eliminatori, coppa Uefa o tappe di campionato. Sì, certo, c’è stato il Milan di Ancelotti. Ma non era al livello del Barcellona. Questa è la squadra di Lionel Messi, il più grande giocatore al mondo, un figlio del dio del calcio come pochi ce ne sono stati. L’Inter di Angelo e di Helenio Herrera incrociò, in finale, il Real Madrid di Amancio, Puskas, Gento e Di Stefano. E vinse la coppa dei Campioni. Nell’anno successivo, sempre in finale, fece fuori il Benfica di Eusebio, Torres, Coluna e Simoes. Il Real era il Barcellona di oggi. Alfredo Di Stefano un altro figlio del dio del calcio. Racconta Mario Corso, che se l’è trovato davanti: «Era un mostro nell’organizzazione, un uomo squadra straordinario. Però Messi ti risolve i problemi, è lui la squadra. Non so chi sia più grande».
Le situazioni sono molto simili, pur sapendo che una finale vale più di una semifinale. Qui conta il raffronto fra due squadre, conta sapere se questa Inter riuscirà a dimostrarsi la più grande dell’era di Massimo, così come quell’altra lo è stata nell’era di Angelo. E magari scoprire se ci sia un’Inter che può far ombra alla Grande Inter. Eliminare il Barcellona varrà un diploma, un attestato di grandezza. Poco conta come si concluderà la finale. Certo, c’è differenza fra vincere due coppe dei Campioni di fila ed arrivare solo ad una finale. Ma il calcio moderno impone altri raffronti. Chi mai penserà, nel caso Bayern o Lione vincano la Champions, che sono davvero le più grandi squadre del mondo o d’Europa? Non basta l’etichetta. Tutti sanno (tranne il dubbioso Mourinho) che oggi il Barça sta alle altre come Messi agli altri. E pazienza per i tifosi di Kakà, Cristiano Ronaldo, Rooney e Gerrard.
Ma c’è di più. Negli ultimi mesi il qualunquismo galoppante si è scappellato davanti alle trovate di Mou. Però! Che coraggio giocare con tre punte (Eto’o, Milito, Pandev) e una mezza punta (Sneijder). E tutti ad incensare il messia del calcio della spavalderia. Come se Guardiola non facesse giocare il Barcellona allo stesso modo, come se il Barca di Rijkaard non vivesse di un’idea simile. O come se l’Inter di Herrera non giocasse con la stessa sfrontatezza. Che ve ne pare? Jair, Mazzola, Peirò, Suarez, Corso: questo era l’attacco della seconda finale (vinta) di coppa Campioni. Nella prima giocava Milani, al posto di Peirò. C’era poco di diverso.
Chi ha ricordi lontani del calcio sa benissimo che stiamo parlando di attaccanti, senza possibilità di equivoci. Che nulla avevano da invidiare a Cambiasso, Sneijder, Pandev, Eto’o, Milito. Mazzola era più guizzante ed incisivo dell’olandese. Corso non correva certo più di Pandev, ma aveva un piedino più prezioso. L’interessato conferma. «Certo, in questa Inter non c’è nulla di nuovo. Noi giocavamo così, anzi eravamo più offensivi. Peirò se ne stava in area, Jair non tornava come gli attaccanti di oggi, Mazzola giocava avanti, Suarez era il più completo. Io stavo a mezzo tra centrocampo e attacco, ma non ero un maratoneta».
Conclusione, che poi è un consiglio: «Questa Inter ha punte come Eto’o o Milito, più abituate a tornare indietro. Balotelli molto meno. Ma stavolta sarebbe meglio giocare con un centrocampista in più. A metà campo il Barcellona è proprio bravo». Due punte possono bastare.
Sì, insomma, lo dice la storia, lo raccontano i protagonisti: quell’Inter non aveva nulla da invidiare in sfrontatezza a questa inventata da Mourinho, forse non a caso ritenuto ideale successore di HH. E non s’intenda solo nelle chiacchiere.

L’altro sarà stato più originale. Questo una copia riuscita. Ovviamente se vincerà ancora qualcosa. E, a quel punto, anche Massimo Moratti avrà vinto la sua partita con papà. E regalato alla storia un’altra grande Inter.

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