LA CONGIURA DEL SILENZIO

Signor Prodi, ci scusi, ma gentilmente ci potrebbe dire che intende fare con i soldi nostri? Lo so che la domanda la disturba un po’: ma se non le spiace, vorremmo farle presente un po’ anche il disturbo nostro. Perché ogni mese ci vengono sfilati di tasca denari faticosamente guadagnati e non abbiamo la minima idea di come lo Stato, cioè il governo, cioè nella fattispecie lei, intende utilizzarli. A parte, s’intende, coprire le spese per i 102 ministri, viceministri e sottosegretari, e i loro ricchi staff, per i quali come sa siamo tutti lieti di contribuire assai generosamente.
Prendiamo il cuneo fiscale. Durante la campagna elettorale Prodi ci aveva spiegato, con quell’aria da budda emiliano che prende quando tenta di far passare qualche bischerata per verità assoluta, che la salvezza del Paese era tutta lì, in quella parola un po’ astrusa che avrebbe ridotto magicamente il costo del lavoro con benefici immediati per i lavoratori (più soldi in busta paga) e per le imprese (meno spese). Siccome non aveva altro da dire, il leader dell’Unione ripeteva la formuletta a ogni occasione. Alla fine sembrava persino che ci credesse.
«Daremo una scossa», ripeteva. «Il cuneo fiscale sarà tagliato nei primi cento giorni». Ora veniamo a sapere che nei primi cento giorni il cuneo fiscale non sarà tagliato. Viene rimandato tutto a ottobre, alla Finanziaria, poi si vedrà. E la scossa? Di sicuro l’Unione finora ne ha fatto sentire al Paese solo una: quando si ribaltano i tavoli durante i vertici di maggioranza. A volte volano anche le sedie. Peccato che di questa scossa possano beneficiare esclusivamente gli inquilini del piano di sotto.
Ma non c’era fretta? Non bisognava agire subito? Niente: il cuneo resta lì, abbandonato, senza che nessuno abbia ancora ben capito come sia, selettivo, discrezionale o generalizzato e quando entrerà davvero in vigore. Si continua a parlare di un taglio da cinque punti: ma che sono? Cinque punti tutti per le imprese? O per i lavoratori? Un po’ per uno? E quanto? Vedrete: se passa ancora qualche settimana, Prodi dirà che in realtà lui si riferiva a cinque punti di sutura per una vecchia ferita. E che, parlando di cuneo, al massimo gli viene in mente una bella città del Piemonte. La verità è che non sanno che cosa fare. A parte un po’ di terrorismo preventivo, si capisce. Il ministro Padoa-Schioppa dice che aumentare le tasse è illusorio, ma nell’ufficio accanto c’è il viceministro Visco che non vede l’ora di illudersi a suon di Iva e Irap. Prodi va all’estero col grembiulino da primo della classe e dice che la Tav si farà; ma subito dopo il suo sottosegretario all’economia, Paolo Cento, lo smentisce: «Statene certi, la Tav non si farà». Risultato: persino i sindacalisti fanno colazione al dicastero dell’Economia e digeriscono piuttosto male. «Nessuna cifra», si lamentano. «Abbiamo parlato solo in termini generici». Meraviglioso: e qual era l’oggetto di questi discorsi generici? La nuova ondata di caldo? La formazione della Nazionale? L’ultima uscita di Buffon? O, meglio, della Seredova?
Scusate, se ci permettiamo. Ma trattandosi di banali sghei provenienti dalle nostre tasche, ameremmo sapere. Perché ci fa un gran piacere che Prodi e Montezemolo s’incontrino: pasticcini e poteri forti, salotti buoni e ottimo caffè. Non vogliamo rovinare l’idillio. Ma, di grazia, di che parlano? Che intenzioni hanno? Non è dato sapere.

Due righe di comunicato, e poi nulla: nessun giornale che attacchi, nessun commentatore che incalzi. Nulla di nulla. Fateci caso: sulle maldestre mosse di Prodi in economia si è stesa una implacabile congiura del silenzio. Che nasconde il nulla. E, se possibile, lo rende ancora più spaventoso.

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