A un anno di distanza dalle polemiche di carta sull'obbligo di identificazione per i minori rom presenti nei campi nomadi, arriva la sentenza del Consiglio di Stato che dà ragione al governo. In sostanza, questo il verdetto dei giudici, si potrà procedere «sic et simpliciter» a dare un'identità alle persone che vivono negli insediamenti non autorizzati, anche attraverso rilievi segnaletici. In via cautelare, il tribunale amministrativo di secondo grado ha così ribaltato quanto già deciso nel luglio scorso dal Tar del Lazio, che aveva annullato in parte le ordinanze emesse dal presidente del Consiglio per fronteggiare lo stato d'emergenza nei campi rom di alcune regioni tra cui proprio il Lazio e la Lombardia.
Da qui, l'estate passata, erano scattati i censimenti voluti dal Viminale per monitorare la situazione. Erano stati conferiti poteri «speciali» ai prefetti dei grandi centri, nominati commissari straordinari per accrescerne l'autonomia decisionale e operativa. Dopo i primi sopralluoghi delle forze dell'ordine nelle baraccopoli di Roma e Milano, che avevano provveduto a contare e identificare le presenze, era esplosa la reazione delle forze di estrema sinistra, di molte associazioni di terzo settore vicine alla causa dei rom, anche grazie all'appoggio dell'opposizione di centrosinistra. Di conseguenza, lo scontro si era spostato sul piano politico. Su certa stampa comparve perfino il termine «razzismo» nel giudicare le scelte dell'esecutivo. Anche alcuni esponenti del mondo cattolico, come del resto sta accedendo in questi giorni sulla questione degli sbarchi di clandestini, non si erano tirati indietro nell'attaccare il governo sulla «linea dura». Sempre a fine luglio del 2008, un discusso documento del Consiglio d'Europa firmato dal commissario Thomas Hammarberg parlava di «atti di violenza compiuti nei campi nomadi italiani, senza che vi fosse una effettiva protezione da parte delle forze dell'ordine, che a loro volta - si accusava - hanno condotto raid violenti contro gli occupanti degli insediamenti», riferendosi tra l'altro anche alla pratica di raccogliere impronte digitali. Parole che provocarono la secca replica del ministro dell'Interno, Roberto Maroni: «Solo falsità, la polizia non ha mai commesso atti violenti.
Oggi, evidentemente, il verdetto della magistratura conferma la legittimità dell'operazione.
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