Cronache

Consolato-fantasma, odissea di due genovesi in Ecuador

Roberta Gallo

Consolato italiano a Guayaquil: inesistente. Risponde al telefono ma non aiuta. È successo a due ragazzi genovesi che si trovavano in vacanza in Ecuador. Un amico che viaggiava con loro è morto per infarto in un «pueblito» sconosciuto, sulla costa dello stato. È iniziata l'odissea: i due amici hanno subito chiamato l'assicurazione in Italia. Che, con massima disponibilità ha aperto la pratica per il rimpatrio della salma. La seconda telefonata è stata fatta al consolato. Ai due genovesi, che parlano uno spagnolo scolastico, serviva però un traduttore serio per affrontare gli interrogatori della polizia, e della «fiscalia», l'avvocatura locale. L'assicurazione, che voleva avere un nominativo a cui riferirsi nel consolato di Guayaquil, è rimasta a bocca asciutta. Al ragazzo che ha chiamato è stato detto: «Non le serve sapere un nominativo particolare, tanto quando chiamate qui una persona vale l'altra. Per rimpatriare la salma ci vogliono 5-6mila euro e bisogna fare il passaporto mortuario». Tutto questo, ovviamente, senza chiedere all'interlocutore, chi fosse, chi era morto, dove si trovasse, se avesse bisogno di aiuto. Intanto, ai due ragazzi erano stati sequestrati i passaporti. Non potevano muoversi dalla località in cui si trovavano fino a indagine finita. «Sicuramente non possiamo dire grazie al nostro consolato - dicono ora - ma alla gente del posto. Polizia, “fiscalia” e le persone stesse residenti in Ecuador sono state molto gentili e disponibili, capivano il nostro dramma e ci hanno aiutato molto». Una ragazza ecuadoriana, abitante della cittadina, che aveva lavorato per la Comunità Europea, avendo saputo che due italiani erano in difficoltà, è salita nella «fiscalia» mentre li stavano interrogando e li ha aiutati traducendo le domande e le risposte. Li ha ospitati per due giorni nella sua casa, non volendo nemmeno un euro di rimborso. Un altro italiano che da qualche anno vive in Ecuador ha prestato l’automobile per trasportare la salma dal luogo dove era successa la tragedia all'obitorio della cittadina più vicina. Il consolato, niente. Eppure, per tutta l'estate il Ministero degli Esteri ha mandato in televisione la pubblicità di www.italianinelmondo.it. E adesso, dopo che la salma è rientrata in Italia ed è già stata tumulata, ai familiari toccano ancora manciate di sale sulla ferita. Il Comune di Genova non riconosce il defunto perché manca il certificato di morte. In realtà esiste un certificato medico che attesta la morte, ma essendo in spagnolo non è valido. Dovrebbe essere tradotto e vidimato dall'ambasciata italiana in Ecuador. Ma perché non è stato fatto? Nessuno lo sa. Come nessuno sa dove sia sparita una busta gialla, destinata alla famiglia, con tutti i documenti che accompagnavano il feretro, passaporto compreso. Si pensa che sia stata persa all'aeroporto di Madrid o alla Malpensa. Così le ultime pratiche burocratiche non si possono fare. L'ambasciata di Quito sembra abbia risposto che, se individuano la persona che ha risposto con indifferenza ai due ragazzi, la rispediscono in Italia e la licenziano.

Intanto la famiglia del defunto è pronta ad andare da un avvocato per procedere contro il consolato e coloro che, fino ad oggi, non hanno fatto il loro dovere.

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