da Roma
È un «botta e risposta» indiretto ma assolutamente inedito quello che si profila fra Giovanni Consorte, Francesco Cossiga e il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco, già oggetto delle «picconate» dellex capo dello Stato in virtù della sua presunta amicizia (lo dice Cossiga) con Guido Rossi, legale dellolandese Abn Amro, ex contendente della Popolare di Fiorani nella scalata estiva alla Banca Antonveneta. Un «dialogo a distanza» che prende spunto dalle indiscrezioni sullinterrogatorio del 27 dicembre dellex presidente Unipol, in cui si fa il nome del presidente emerito, che dal Giornale risponde formulando un giudizio destinato a far discutere: «Sono certo che neanche un soldino è finito nelle tasche private di Consorte».
Veniamo allantefatto. Secondo il suo punto di vista poteva trattarsi di un elemento a discolpa. Per gli inquirenti era invece il tentativo di lanciare un «messaggio», fuori tema rispetto alle indagini sulle scalate bancarie. Di certo quando Giovanni Consorte, interrogato dai pm Francesco Greco, Eugenio Fusco e Giulia Perrotti, ha tirato in ballo i suoi colloqui con Francesco Cossiga, presso i magistrati non ha trovato facile sponda, ma un invito ad attenersi ai fatti contestati.
«Il presidente emerito Cossiga mi ha detto i nomi di chi ostacola loperazione Unipol su Bnl», ha riferito lex «barone rosso» delle coop durante il lungo faccia a faccia con i magistrati alla vigilia della decisione di dimettersi dalla guida della compagnia assicurativa. Immediata e dura la reazione dellaggiunto Francesco Greco, riportata sul verbale: «Le chiacchiere dei salotti non interessano lufficio». È il momento di maggior tensione nellinterrogatorio che Consorte, assistito da Filippo Sgubbi e Giovanni Maria Dedola, ha iniziato come indagato per aggiotaggio nellinchiesta Bpi/Antonveneta e ha proseguito con la contestazione orale delle accuse di associazione a delinquere, poi appropriazione indebita e ricettazione.
«Non intendo commentare - spiega Cossiga -. Daltronde, per un ex capo dello Stato sarebbe assolutamente disdicevole esprimere una sua opinione sui giudizi da salotto formulati dal magistrato alla cui notorietà sembra non basti la sua amicizia con grandi avvocati daffari. Se si fosse trattato di politica avrei taciuto - osserva ancora il presidente emerito -, ma qui si tratta di quella commistione fra interessi, pettegolezzi e politica su cui sembra scivolare purtroppo lamministrazione della giustizia del nostro Paese. E questo è un problema di libertà e tutela dello Stato di diritto. Ma questo non è più problema mio», dice il senatore a vita. Lo sarà «mi auguro, insieme di Silvio Berlusconi e Romano Prodi».
Non entra nel merito lex «picconatore». «Come è noto a tutti, e soprattutto ai miei familiari - precisa non senza ironia -, non mi intendo di denari anche perché non ho mai fatto lavvocato daffari, essendo amico di pubblici ministeri». Dunque laffondo sul caso Ds-Consorte-Unipol che negli ultimi giorni ha scatenato il terremoto allinterno della Quercia e non solo: «Di una cosa sono però certo, conoscendo, pur nel dissenso politico, che talvolta è stato anche molto, lo standard morale dei comunisti militanti.
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