Roma - Che la scelta fosse caduta su di lui lo ha saputo lunedì sera: una telefonata «a tarda ora», ha raccontato, una notte di riflessione e ieri mattina Giuseppe Frigo ha sciolto la riserva e accettato, «non senza emozione», la candidatura a giudice della Corte costituzionale. Eletto ieri sera con 690 voti. Si è sbloccata l’impasse, la Consulta è tornata a ranghi completi e come ha rilevato «con vivo compiacimento» il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un messaggio a Schifani e Fini, si è posto fine «a un grave ritardo».
La decisione finale l’ha presa il premier in persona, dopo che il veto dell’opposizione e i franchi tiratori della maggioranza avevano affossato la candidatura di Gaetano Pecorella e le divisioni interne a Forza Italia, partito cui spettava la designazione del giudice costituzionale, mettevano a rischio di veti incrociati altri nomi più «politici». Così la scelta è caduta su un «esterno» di rango, un tecnico di fama, ex presidente delle Camere penali e «garantista erga omnes, al di sopra dei sospetti», come spiegava ieri a un attento Massimo D’Alema il diessino Vincenzo Siniscalchi, membro laico del Csm. E l’ex premier annuiva: «Potevano scegliere molto peggio», concedeva. L’appoggio delle opposizioni a Frigo era d’altronde scontato, dopo il no a Pecorella, e il voto favorevole del Pd è stato annunciato formalmente ieri pomeriggio. Ma Walter Veltroni mette subito le mani avanti: bene Frigo, ma «non c’è alcun baratto tra la Consulta e la Vigilanza Rai, e voglio dire che continueremo a votare Orlando, perché sono inaccettabili pregiudiziali verso una forza politica».
Per quanto riguarda il Pd, insomma, e nonostante le sollecitazioni che arrivano pressanti dalla maggioranza, la partita della Commissione di vigilanza resta bloccata sul candidato dell’Idv, che per ora Veltroni non ha intenzione di mollare. «Qualcosa si sbloccherà dopo la manifestazione del 25 ottobre», ripetono dal suo partito. Mentre dal Pdl Donato Bruno accusa: «Mi sembra evidente che si stia facendo un gioco non trasparente. Avevano proposto di ritirare Orlando se si fosse ritirato Pecorella, mi sembra invece che una certa posizione sia diventata granitica».
Antonio Di Pietro ieri ha fatto annunciare che anche il suo partito avrebbe votato per Frigo: un modo per rendere ancora più difficile al Pd lo «scaricamento» di Orlando. E comunque, con la questione Abruzzo ancora aperta e la manifestazione del Circo Massimo alle porte un dietrofront sulla Vigilanza sarebbe politicamente troppo oneroso. Senza contare che a quel punto Idv reclamerebbe un posto nel Cda Rai a spese di Veltroni. Meglio temporeggiare ancora e cercare nel frattempo un accordo con la maggioranza su tutta la partita Rai, a cominciare dalle nomine che contano, presidente e direttore generale. «Noi - spiega un dirigente del Pd che segue da vicino la materia - non abbiamo alcun interesse a uscire da questa vicenda, ora che la questione Consulta è risolta, trasformando Orlando nel martire della democrazia e il simpatico Di Pietro nel censore dei nostri inciuci».
La speranza di Veltroni, dunque, è che il Pdl riapra la trattativa su tutto il pacchetto Rai e che alla fine (concordato il presidente «di garanzia» della tv pubblica, e incassato il futuro dg) si rassegni a digerire anche Orlando. Certo, la maggioranza nei prossimi giorni potrebbe anche «farci qualche scherzetto», votando per la Vigilanza un nome dell’opposizione, dal radicale Marco Beltrandi a un esponente Pd. Ma «non conviene neppure a loro, visto che poi quella stessa commissione dovrà votare a maggioranza qualificata il nuovo Cda».
Il presidente del Senato Schifani auspica che il voto bipartisan sulla Consulta segni «l’inizio del disgelo, e sia una tappa utile a un percorso di apertura del confronto». Ad accelerare la soluzione di una vicenda che si trascinava da 18 mesi è stata anche l’iniziativa dei radicali, che ieri hanno applaudito la scelta di Frigo: «Lo voteremo con convinzione». Dopo l’ennesima fumata nera, lunedì sera - capeggiati dalla vicepresidente del Senato Emma Bonino - hanno occupato l’aula di Montecitorio. I cinque deputati e tre senatori hanno passato tutta la notte sugli scomodi scranni dell’emiciclo, fino alla nuova seduta comune delle Camere di ieri mattina.
Al termine della quale il presidente Fini ha invitato i tre «infiltrati» del Senato ad abbandonare l’aula, invocando il «rispetto delle regole». Di fronte alla resistenza passiva dei radicali, la seduta è stata sospesa e i tre (Bonino, Perduca e Donatella Poretti) sono stati sollevati di peso dai commessi e depositati su un divano del Trasatlantico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.