Certo, tutti parlano dell'orgogliosa riscossa di Contador, che va in fuga dopo 17 chilometri, sulle prime rampe di giornata, e ci resta fino alla fine: non vince sull'Alpe d'Huez per un'umanissima flessione negli ultimi metri, arriva solo terzo, ma dimostra ancora una volta al mondo di che pasta siano fatti i fuoriclasse veri.
Certo, tutta la Francia parla della sua prima vittoria, proprio sulla salita più gloriosa, grazie all'impresa del giovane Rolland, tutto un Tour a fare da maggiordomo alla maglia gialla Vockler e infine libero di giocarsi il proprio destino, mentre il capitano torna al suo posto, cioè lontano dai campioni.
Certo, molti parlano - e giustamente - di una tappa favolosa, di uno spettacolo da elettrochoc, con un sacco di gente di tutti i continenti sui tornanti dell'epica (si parla come al solito di un milione, ma sfido chiunque a contarli precisamente: diciamo che era una moltitudine immensa e tanto deve bastare).
Sì, ci sono tanti fatti e tante facce di cui parlare. Ma personalmente, se devo scegliere dal mazzo e mettere un nome solo sul piedestallo, io dico Cadel Evans. Dopo aver inseguito da solo l'altro giorno sul Galibier, alle spalle dello scatenato Andy Schleck, all'indomani gli tocca lo stesso destino feroce. Mentre è in fuga sulle ruote di Contador e dello stesso Schleck, gli arriva la tramvata di un incidente meccanico. Si ferma due volte, cambia la bici. Ed è subito inferno. Da lì in poi, gli toccherà di nuovo lavorare come un mulo, cercando di limare secondo dopo secondo il paio di minuti accumulati per strada. Eroico. La sua impresa, che non è da primo posto sull'Alpe d'Huez, può essere da primato. Raggiungendo i nemici ai piedi dell'Alpe, affiancandoli poi nella lunga scalata, il canguro si assicura la più aristocratica prenotazione della carriera: oggi, nella cronometro di Grenoble, ha la fondata prospettiva di vincere finalmente il Tour de France, dopo due secondi posti.
Per chi non fosse del ramo potrebbe sembrare una battutona, visto che Evans risulta terzo alle spalle dei terribili fratelli Schleck (famiglia onomatopeica: il cognome è il suono degli schiaffoni, che effettivamente sin qui hanno più volte rifilato).
Però chi non è del ramo ignora che la mamma li ha dotati di tantissime virtù, non della specialità cronometro. E allora, per stringere: considerando che Evans a cronometro è un fulmine, riconoscendo che la signora Schleck li ha scodellati abbastanza fermi nella specialità, ecco come il pronostico per Parigi risulti abbastanza deciso. Se non incontra Tir contromano, se non gli mettono il Guttalax sulle fette tostate della colazione, Evans è tranquillamente in grado di rimangiarsi i 57 che adesso lo dividono dalla maglia gialla Andy. Sembra quasi scontato, però c'è un però: in questa situazione, più o meno, si è già trovato due volte. Nel 2007 con un giovane Contador e nel 2008 con Sastre: neanche a dirlo, in entrambi i casi non è riuscito a rimontare completamente lo svantaggio. Se oggi lo vediamo in azione toccando un po' di tutto, va capito.
In attesa dell'ultimo duello, un paio di note doverose. Note italiane. La prima riguarda il derby Basso-Cunego: nella tappa dell'Alpe stravince a sorpresa Cunego, bravissimo a stare sempre con i migliori, mentre Ivan è molto deludente nel restare sempre con i peggiori. A questo punto non è per niente detto che nella crono di oggi Basso riesca a rimontare. Comunque, è e purtroppo resta un'Italia piccola così.
Meglio passare alla seconda, piuttosto storica. Durante la diretta Rai, agli ottimi Pancani-Cassani si affianca sempre il commento della Zia Alessandra De Stefano, non si capisce bene a che titolo: magari, che ne so, avendo sposato un francese, è lieta l'occasione per familiarizzare con il parentado. In ogni caso, ci sta tutto. Siamo abituati a tutto.
Però cè un limite.
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