
Considerate questo giocatore che non arriva al metro e settanta e pesa meno di settanta chilogrammi. Si chiama Sidney Colônia Cunha, ha la faccia rotonda e i tratti vagamente orientaleggianti, poiché i bordi degli occhi sono pronunciati, allungati, quasi fosse un cinese, anche se lui è nato in Brasile, a Rio Grande, il 28 giugno del 1935. Ma, è risaputo, da quelle parti i soprannomi valgono più dei nomi di battesimo, specie se insegui un pallone. Così eccolo subito esoticamente ribattezzato: Cinesinho. Gremio, Internacional di Porto Alegre e Palmeiras, una sessantina di gol, abbastanza per essere notati oltreoceano, in Serie A, anche se le distanze per gli osservatori, in quegli anni, sono complesse da colmare.
Nel 1962 il Modena, neopromosso in Serie A, lo acquista per intraprendere un campionato sorprendente. Ai sudamericani del Palmeiras va un diluvio delle vecchie lire, tanto che il presidente Arnaldo Tirone dichiara alla stampa: "Con i soldi di Cinesinho ci ho comprato altri quindici giocatori e ho formato la prima Accademia giovanile di questa squadra". L'affare si rivela comunque propizio per entrambi i club, perché i canarini si salvano, anche grazie al contributo del nostro, seppur parzialmente frenato dagli infortuni: 20 gare, 3 gol.
La prima stagione italiana del talento verdeoro è condita da un enigma circa la sua data di nascita. Sull'album Panini è riportato il 1° gennaio, ma sul suo documento d'identità c'è scritto 28 giugno. Nel frattempo la Serie A lo registra nato alla data del 13 gennaio. Un rebus inestricabile, ma il pubblico fa spallucce. Che ci importa di quando è nato? Basta che giochi bene.

Le sue qualità del resto sono evidenti. Salta l'uomo con semplicità disarmante, calcia punizioni velenose in serie e corner ad effetto. Segna pure. Così l'anno successivo se lo prende il Catania. Qui Cinesinho trascorrerà due stagioni da idolo totale, collezionando una sessantina di presenze e cinque gol. In fondo l'assist è il suo tratto distintivo, più che la capacità di vedere lo specchio. Di lui, poi, piace molto quella disponibiltà a costruire gioco, che lo vede spesso abbassarsi fino alla linea difensiva per andare a raccogliere il pallone, distribuendolo sulle fasce e facendosi trovare al limite dell'area. Quello è il suo habitat.
Caratteristiche che lo rendono un candidato ideale per accumulare galloni, per scalare le gerarchie feudali del massimo campionato. Così, quando corre l'anno 1965, la Juventus orfana di Omar Sivori decide di puntare tutto su di lui come sostituto. In bianconero Cinesinho esordirà vincendo una Coppa Italia contro la grande Inter e diventando progressivamente un cardine del centrocampo. Dal Sud al Nord Italia, per lui la musica non cambia. Ottantacinque presenze, otto gol, una quantità impressionante di palloni smistati con una rara intelligenza calcistica. Segna sicuramente molto meno di Sivori, ma si rivela tremendamente efficace in enormi porzioni di campo. Nei momenti di difficoltà lo schema è limpido: palla a lui e andiamo in cassaforte.
Chiuderà la sua carriera nel nostro Paese giocando nel Lanerossi Vicenza. Non al ribasso, come si potrebbe pensare guardando ad un sipario che si avvicina: 90 partite, 10 gol. Stella indiscussa pure da queste parti.
Eppure oggi il nome di Cinesinho racconta poco se non niente alle nuove generazioni. Potere del tempo che appanna memorie e coscienze. Così è opportuno rammentare che sì, un brasiliano che assomigliava ad un cinese in Serie A c'è stato. Ed era pure forte.