di Gilberto Oneto
Sul Corriere di mercoledì Pierluigi Battista si inventa una garbata lettera immaginaria di Cavour indirizzandola ai «signori della Padania». Per quanto riguarda i destinatari della Padania giornale essi sono - immagino - in grado di rispondere per quel che li concerne, di sicuro ha lautorevolezza per farlo Lorenzo Del Boca, il cui articolo ha scatenato le velleità epistolari postume del Conte. Ma la lettera è destinata anche ai «signori della Padania» paese e allora ci riguarda in tanti e mi sento anchio autorizzato a dire la mia.
Cavour-Battista chiede una «ragionevole tregua», un armistizio, una indulgenza che metta da parte «acredine» e «malanimo» per «riconoscerci figli di una stessa storia». La richiesta è cortese e i padani, che sono in larga maggioranza gente di cuore, sapranno ascoltarla. Ma non si deve confondere una tregua con il perdono, o con laccettazione di menzogne. Tanti cittadini degli Stati italiani di allora avevano molte ragioni per non dover mostrare troppa gratitudine o indulgenza nei confronti di Cavour, e molti dei loro pronipoti di oggi hanno pochi motivi per dover cambiare atteggiamento.
I padani - e veniamo al testo in questione - ne hanno meno di altri. Nella lettera si sfiora non senza malizia uno di questi punti, quando si dice che lunità «non ha sfavorito o mortificato lattività delle laboriose popolazioni settentrionali». Ci mancherebbe lavesse fatto, visto che ci campa! Cattaneo si lamentava che il Lombardo-Veneto, con un ottavo della popolazione complessiva, fornisse allerario imperiale austriaco più di un quarto delle sue entrate e per questo chiedeva la più ampia autonomia. Oggi le regioni padane subiscono salassi ben più gravosi e non hanno neanche il diritto di lamentarsi senza vedersi accusare di egoismo o peggio.
Ma cè una cosa che ai padani non va giù. Quella di essere stati ingannati, truffati, presi per i fondelli e proprio principalmente dal conte di Cavour. Il Risorgimento è cominciato sventolando il progetto di un bel Regno dellItalia settentrionale, o Superiore, come si diceva allora. Eridania la chiamava Durando, Alta Italia il Gioberti e il Rosmini, uno «Stato solo sul Po» il DAzeglio. È per formare un Regno padano che Carlo Alberto ha iniziato la guerra del 1848: il disegno si sarebbe compiuto - aveva solennemente e vacuamente proclamato nel Discorso della Corona del 1° febbraio 1849 - «dallAssemblea Costituente del Regno dellAlta Italia». Con la promessa di una Costituente aveva fatto svolgere i plebisciti di fusione della Lombardia, di Venezia e dei Ducati padani. Che questo fosse lobiettivo dei patrioti di allora è verificato da una rilettura di Fogazzaro, che in Piccolo Mondo Antico descrive in dettaglio lItalia che si voleva: Piemonte, Lombardo-Veneto, Parma, Modena e Legazioni. Cavour aveva proseguito sulla stessa strada. Gli accordi di Plombières, che sono alla base dellintero Risorgimento, prevedevano che: «La valle del Po, la Romagna e le Legazioni costituirebbero il Regno dell'Alta Italia sul quale regnerebbe la casa di Savoia». La Padania insomma. È su questo progetto che si è fatta la guerra del 1859. È tradendo questo disegno che si è fatto il pastrocchio dellunità, per favorire gli appetiti dei Savoia e le trame imperialistiche della Gran Bretagna.
Insomma, ai «signori della Padania» il Conte aveva promesso una cosa e poi gliene ha rifilata unaltra. Aveva prospettato uno Stato di media grandezza e dalle grandi possibilità economiche, un «grasso Belgio»: lespressione è sua e rende lidea. Alla fine i padani si sono trovati parte di un organismo grande e famelico come lAustria ma senza i suoi pregi.
Vogliamo oggi celebrare civilmente il 150° dell'unità? Facciamolo raccontando le cose come sono davvero andate.
Non serve aggrapparsi a retorica e sentimentalismi per evitare lesercizio di maturità civile che prevede un sereno e giusto processo ai Padri della patria. E alle madri, ai nipoti e ai pronipoti.
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