Rientro dal Messico e mi fermo a Madrid per vedere le mostre dell'ultimo Van Gogh e di Patinir. Mi muovo nelle sale del Museo del Prado e vedo una quasi insostenibile sequenza di capolavori di Tiziano, di El Greco, di Velasquez, di Rivera, di Rubens, di Goya, con una densità che non vi è in nessun altro museo. Rifletto sulla differenza tra una cosa di spontanea creatività e le imprese cervellotiche di tanti artisti contemporanei che si sforzano di trovare una cifra per essere riconosciuti.
In realtà, tutta l'arte antica è contemporanea. Vive con noi. Ci emoziona ogni volta come l'incontro con una persona amata. Esiste. È. È davanti a noi. E ci sarà ancora quando noi non ci saremo più. Ma l'osservazione dei dipinti di Tiziano e di Velasquez in una stessa sala, come il fiato ansioso di Van Gogh nei paesaggi estremi, ci mostrano artisti nuovi e diversi rispetto a quello che sono stati in altri pur notevoli momenti della loro attività.
Tiziano si rinnova fino a essere più moderno da vecchio che da giovane. Difficile spiegarlo a chi come alcuni mutilati e insoddisfatti critici d'Arte Contemporanea, hanno l'ansia di inseguire il fantasma del nuovo, confondendo, a danno di tutti, e per loro insensibilità estetica, l'arte con la moda. Penso ai tristi Renato Barilli e Achille Bonito Oliva, con le loro scolastiche formulette, del genere la Storia dell'Arte è frutto di continue evoluzioni del linguaggio. I veri artisti sono tali per l'apporto innovativo che essi danno a questa. Bai lo dà negli anni 50, Schifano e Festa negli anni 60, Pisani e De Dominicis negli anni 70. E la Transavanguardia alla fine degli stessi anni. In questa visione necrofila, gli artisti muoiono subito, e Tiziano sarebbe trascurabile già dalla metà degli anni 20. Con questo principio, si è squartato il corpo di De Chirico, ignorando l'unità della sua impresa artistica. Io credo che l'arte non obbedisca a regole e necessità, se non interiori, della coscienza. E conosco, di artisti originali, opere notevoli di momenti diversi, testimonianze di una sublime indifferenza per l'attualità.
Penso a Picasso, a Sironi, a Morandi. Anzi, il Morandi tardo si esalta nel contrasto con gli artisti che sembrano obbligati a fare tendenza. E cosa pensare dell'ultimo, immenso Burri? Altri, come Leoncillo, Fontana, Gnoli, Ferroni trovano se stessi nel momento più avanzato della loro attività. Music dipinge capolavori, quasi senza materia, oltre gli ottant'anni, proprio come Tiziano. E Guido Reni dipinge pure essenze poco prima di morire. Anche Jacopo Bassano, ormai cieco, dipinge con le dita opere sensibilissime che niente hanno a che fare con quelle della prima maturità. Perché non dovremmo consentire che anche un artista contemporaneo si rinnovi, e non resti chiuso nella cifra che la critica ha deciso per lui? Inutile spiegarlo ai becchini dell'Arte Contemporanea. Né si sa come rispondere alla narcisistica esibizione di ignoranza di chi ricostruisce anche la storia a suo piacimento, trasformando il più grande artista del Cinquecento, Raffaello, nel più grande artista del Quattrocento con incredibili argomenti: la sua opera non appartiene alla turbolenza, all'ansietas e al furor neoplatonico del Cinquecento, ma, piuttosto, all'armonia quattrocentesca (Bonito Oliva). Una tesi così insensata da far bocciare uno studente delle scuole medie. E non una svista, ma una teoria contro la storia, verso la quale ci si sente obbligati soltanto per i poveri Bai, Schifano e Festa. Piccoli schemi, regolette muovono gli strani personaggi di un mondo di signore che vanno alle mostre come alle sfilate, per la stagione primavera-estate e autunno-inverno.
Così l'Arte Contemporanea è in balia di persone che non hanno alcuna idea della estetica e della storia, e del tutto privi di gusto. Tanto, cosa cambia? Non importa che un quadro sia bello o brutto. Deve stare nei confini stabiliti nei salotti e definiti dal mercato. Il passato, poi, non esiste: è uno spazio indistinto e confuso che non ha alcun interesse per l'attualità. Con questo criterio Giotto potrà diventare un pittore del Duecento, e Boccioni un pittore dell'Ottocento. E Kandinsky non è forse nato nel 1866? Perché continuare a considerarlo un artista del Novecento? Tentare di mostrare, al di là delle mode, cosa è accaduto nell'arte italiana e cioè nella ricerca dei pittori, tra il 1968 e oggi, come si è tentato nella mostra in Palazzo Reale a Milano, deve sembrare incomprensibile a chi vuole che le cose si adattino ai suoi schemi.
L'arte non vuole essere irrigidita, prestabilita: va dove vuole. Il nostro compito non è orientarla, ma osservarla.
Vittorio Sgarbi
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