All’inizio c’erano solo Yul Brinner e Telly Savalas, meglio noto come tenente Kojak. Due teste luminescenti a tenere alta un’idea acrobatica, come una sfrontata eresia estetica: donne, date retta, pelato è bello. Ma allora, trenta e più anni fa, in genere tutti avevano in testa un’altra idea, molto più normale e conformista: che la pelata potesse diventare valore aggiunto solo per l’immagine di un grande attore. Nel resto dei casi, restava comunque un desolante vuoto. La calvizie come frustrazione e come imbarazzo. La calvizie come insanabile complesso. Era decisamente un altro tempo, era effettivamente un altro mondo.
Poi è arrivato Pantani. Poi sono arrivati i calciatori, poi attori e cantanti. Poi ancora i bellocci del centro e i signori della moda, tutti in complotto contro il valore supremo e il dogma indiscutibile della folta chioma. Nel giro di poche stagioni, questa strana gente ha cominciato a sdoganare la pelata, a farne anzi un’ipotesi di culto, anticonformista e antiforfora. Di più: a farne un simbolo di erotismo e di virilità, come da riviste di settore e sondaggi nel pianeta femminile. Tagliandosi gli ultimi peli direttamente con il rasoio, tirando dritto da sotto al mento, alla fine hanno vinto loro, le teste lucide. Ed ecco qui il bel risultato: Cesare Ragazzi, l’eroe di tutti i riporti, è finito sul lastrico.
Quanta malinconia. Quando la pelata era un cruccio, quest’uomo aveva il merito di irrompere sui teleschermi e di irradiare subito il suo travolgente ottimismo: «Salve, sono Cesare Ragazzi». Aveva capelli che ondeggiavano come foreste battute dal vento. Faticava a contenerli. Sembrava crescessero in diretta, in tempo reale. A completare la lussureggiante parure, un paio di baffi da brigadiere, che io - ricordo - non sapevo mai se attribuire a madre natura o anch’essi ai formidabili metodi dell’azienda.
Sui capelli, comunque, non sussistevano dubbi: lui stesso, senza nascondere nulla, offriva con parole consolatorie la commovente testimonianza personale. Quando la pelata era tristezza, Cesare stava lì a dire che non bisognava rassegnarsi: qualunque area desertica della nostra capoccia, assicurava, poteva tornare rigogliosa come un tempo, come prima della biblica caduta. Nessun trapianto, nessun innesto. Solo una bella mano di colla - mi scuso sin d’ora per la semplificazione tecnica - e dentro impiantati i nostri stessi capelli. O quelli di un donatore, che chiunque poteva scegliersi liberamente sul libero mercato.
Il testimonial aveva un’irresistibile forza di persuasione. La sua arma era la migliore di tutte, buttandola in marketing: era testimonial di se stesso. Lui per primo, classe 1941, aveva assaporato l’umiliazione precoce dell’inarrestabile caduta. Vederlo lì a sorridere, con quella chioma sfacciatamente esplosiva, era la prova che non vendeva fumo. In testa, aveva un enorme arrosto.
Da lì, un impero. Alla faccia di Kojak, alla faccia di Yul Brinner. Nel momento del grande declino, trentaquattro centri in Italia, due in Svizzera, uno in Brasile, uno negli Stati Uniti e uno persino a Malta. In quarant’anni di attività, per qualcuno quarant’anni di missione umanitaria, il vecchio Cesare ha pietosamente assistito 900mila creature in crisi d’identità. Settanta per cento maschi, trenta per cento femmine. Alla base dell’azienda, come si legge ancora oggi sul sito Internet, una verità cosmica: «Il bisogno di autostima e di piacersi è un istinto naturale». E ancora: «È naturale che chi abbia delle anomalie sul cuoio capelluto possa vivere questa condizione con disagio e frustrazione». Parole che hanno toccato sul vivo tanti ragazzi e che hanno fatto la fortuna di Ragazzi. Per un lungo tempo.
Ma vallo a raccontare adesso, negli happy-hour metropolitani o sulle barche di Punta Ala, che le anomalie sul cuoio capelluto creano frustrazione e disagio: il mondo è cambiato, il rasoio da barba risale compiaciuto e narciso fino all’estrema sommità, oggigiorno il pelato tira tantissimo, Giovinco e Cannavaro ci fanno pure gli spot.
Quanto risuonano patetiche, adesso, le spiegazioni scientifiche della Cesare Ragazzi Company. Cose che una volta seminavano speranza e consolazione, ora suscitano soltanto una povera mestizia. Come tirare fuori il mangiadischi dal baule della cantina e accorgersi che cinquant’anni dopo suona tutta un’altra musica. Il leggendario sistema «Cnc», che dal 1968 brevetta la geniale idea di non incidere la testa con invasivi trapianti, ma semplicemente di «asfaltarla» tipo A4 con un’apposto strato di collante, così da poterci poi applicare nuova capigliatura, diventa improvvisamente preistoria. E lo stesso per la Linea Tricosil, tutto un armamentario di olii essenziali e creme naturali meticolosamente studiato come prevenzione alla caduta dei capelli. Sono cadute loro, le magiche alchimie. E non c’è più niente che possa reimpiantarle in testa a nessuno.
In questo sentore di fine impero, sopravvive soltanto il gelido linguaggio dei bilanci. Secondo il tribunale di Bologna, competente sulla sede centrale di Zola Predosa, non resta che affidare il disastro a un curatore fallimentare.
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