Conti pubblici, l’Ocse «copia» la cura Tremonti

Il risanamento dei conti pubblici deve essere la stella polare. Anche a costo di sacrificare la crescita economica nel breve periodo. Alle orecchie dei nostalgici del deficit spending di keynesiana memoria, la scala delle priorità di Eurolandia indicata ieri dall’Ocse suona dissonante come un bemolle in una scala di do. Certo, l’ideale sarebbe poter coniugare il consolidamento fiscale con l’espansione del Pil, ma spesso ciò non è possibile. E debiti elevati, fa notare Pier Carlo Padoan, capoeconomista dell’organizzazione parigina «vanno assolutamente ridotti, perchè sono un ostacolo proprio per la crescita».
Un dissennato utilizzo della spesa pubblica, con risorse a pioggia finite nei mille rivoli dell’inefficienza o - peggio - del malaffare, ha caratterizzato per decenni l’Italia, fino a portare al 115% il rapporto debito-Pil. Giulio Tremonti sta provando a invertire questa tendenza. I fatti danno ragione alla sua politica del rigore, come testimoniato dalla Bce e dalla Commissione Ue, secondo cui Italia e Germania saranno gli unici Paesi a non dover sopportare, tra il 2011 e il 2012, il peso di un debito in aumento. Quanto alla crescita, è da anni che l’Italia non corre. Anche durante i periodi congiunturali favorevoli. Da questo punto di vista, non allarma più di tanto il rallentamento del nostro Paese messo in luce dal Superindice Ocse, un -0,1% in ottobre. Tanto più che la Germania ha frenato allo stesso modo.
Mantenere la barra dei conti sulla rotta del risanamento ha avuto conseguenze politiche. Durante la crisi internazionale, Tremonti è stato più volte accusato di non aver approntato misure di sostegno. Di fatto, l’unico provvedimento d’emergenza sono stati i Tremonti-bond, peraltro poco utilizzati dalle nostre banche. Il paracadute della cassa integrazione ha evitato licenziamenti di massa, come accaduto altrove, permettendo di attenuare l’impatto sociale della crisi. Il tasso di disoccupazione è infatti rimasto più basso rispetto alla media Ue (8,5% contro il 10%).
Più di recente, in sede di approvazione della Legge di stabilità (l’ex Finanziaria), lo spartito non è cambiato: respingendo l’assalto alla diligenza di quanti lo tiravano per la giacchetta con la richiesta di maggiori fondi, Tremonti ha ribadito di non avere intenzione di gettare l’Italia nelle spire della speculazione. Prima i conti, poi la crescita. Proprio perché i nostri debiti restano lontani anni luce dal 60% indicato dal Patto di stabilità, all’esterno deve giungere il messaggio che l’azione di ristrutturazione finanziaria non ha subìto cedimenti.
L’idea degli Eurobond promossa da Tremonti e Juncker non è un escamotage per allentare la disciplina di bilancio, ma Germania e Francia l’hanno bocciata. E questo può essere un problema per i mercati.

Che dal vertice dei capi di Stato e di governo della Ue in programma a Bruxelles giovedì e venerdì aspettano risposte chiare. A cominciare da quelle sulla riforma del Patto di stabilità. L’Ocse chiede un rafforzamento dei minimi standard fiscali e un’applicazione semi-automatica delle sanzioni.

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