Conto segreto in Brasile: D’Alema perde la causa

Il tribunale ha respinto la richiesta di danni di D’Alema al giornalista che aveva scritto di un dossier su suoi presunti conti segreti in Brasile

Siccome si dice sempre che i giornalisti danno notizia delle indagini sui politici ma tacciono poi sulle assoluzioni, ecco una storiella al contrario che forse riequilibra un po’ torti e ragioni. Il tribunale di Torino ha respinto la richiesta di danni (mezzo milione di euro) avanzata dai Ds e da Massimo D’Alema nei confronti del giornalista della Stampa Paolo Colonnello e del suo direttore Giulio Anselmi.

A far infuriare D’Alema era stato un articolo del 6 giugno 2007, in cui Colonnello dava notizia di un dossier della Kroll, un’agenzia di investigazioni americana fra le più importanti al mondo. In quel dossier, chiamato «Project Tokio», si diceva che secondo «fonti d’intelligence in Italia» c’erano, in Brasile, conti segreti di alcuni esponenti dell’allora maggioranza di governo, «in particolare del ministro degli Esteri Massimo D’Alema».

La notizia era stata intercettata dagli uomini della Security Telecom di GiulianoTavaroli, efinita quindi all’attenzione della magistratura milanese. Il giorno dopo, l’intero mondo politico (maggioranza e opposizione, va detto) s’era schierato contro «l’ennesimo caso di malcostume giornalistico». Al Tg1 D’Alema aveva detto: «Quello che colpisce è che un giornale serio come La Stampa, che ha quella proprietà, utilizzi questa spazzatura, la faccia diventare notizia e la getti nella vita politica italiana. Questo colpisce, ferisce e preoccupa».

Quindi aveva beffardamente annunciato la causa civile per danni e il sicuro incasso: «Il conto “Quercia” adesso diventerà il conto “Ulivo” con il Partito democratico... ». Invece, il giudice Maria Francesca Christillin ha ora rigettato il ricorso di Ds e D’Alema condannandoli a pagare 5.500 euro di spese processuali. Questo non vuol dire che D’Alema avesse un conto (che non ha mai avuto) in Brasile. Vuol dire che, come ha scritto il giudice, Colonnello ha semplicemente riportato la notizia di un’indagine in corso, oltretutto contestualizzandola tra i «veleni» sparsi in quel momento sulla politica.

Colonnello e La Stampa avevano quindi fatto, e bene, il loro dovere. Ma è questo che a volte non si tollera.

Per mesi si parlò di «fango», l’Unità diede lezioni di giornalismo a Colonnello e ci furono inviati della Stampa che, a differenza dei colleghi degli altri giornali, non poterono seguire le missioni del ministro degli Esteri sugli aerei di Stato. Così, tanto per far capire quale, tra le due«caste», abbia poi maggiori poteri di pressione. 

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