Contro Alberto finora solo la statistica (quasi sempre in questi casi il killer è il fidanzato) e la logica (Chiara avrebbe aperto solo perché conosceva il suo carnefice) e alcune incongruenze. Che però potrebbero anche essere lette in chiave difensiva.
Proviamo infatti a ripercorrere la vicenda come se la sono immaginata gli inquirenti. Domenica 12 Alberto, 24 anni, passa la serata nella villetta di Chiara, 26 anni, in via Pascoli 8. Ma a un certo punto succede qualcosa che sconvolge il ragazzo. Al suo rientro progetta l’omicidio che metterà successivamente in pratica in maniera «lucida, razionale, fredda». Lunedì mattina si alza, per crearsi l’alibi, accende il computer e lavora alla tesi che dovrà presentare qualche giorno dopo. Quindi esce verso le 9 (il medico legale dice infatti che Chiara è morta tra quell’ora e le 11) con un pesante oggetto in mano, una decina di minuti sono più che sufficienti per suonare da Chiara, sola perché i familiari sono in vacanza. La uccide colpendola dieci volte alla testa, torna a casa, fa sparire abiti e arma del delitto. Alle 10.30 è già a casa, riceve infatti una chiamata al telefono fisso dalla madre, in ferie insieme al marito. Poi inizia lui a chiamare la giovane per creare i presupposti che lo porteranno alla scoperta del cadavere.
Fingendosi preoccupato per non aver avuto risposta, alle 14 va in auto a casa della vittima, ma si limita a varcare la soglia, non serve che entri perché sa già cosa e dove trovare. Quindi finge agitazione, sbaglia più volte il numerodel 118 e corre dai carabinieri, distanti poche centinaia di metri. Dove si presenta senza tracce ematiche sulle scarpe, mentre il pavimento dovrebbe essere disseminato di macchie, dicendo che la ragazza aveva il volto terreo della morte, in realtà era coperto di sangue.
Ma se è quel genio del male che regge il primo interrogatorio per 12 ore di fila senza contraddirsi, che riflette prima di rispondere a ogni domanda, che rilegge con cura il verbale prima di firmarlo, perché accenna solo la messa in scena della scoperta del corpo senza portarla a termine? Fosse arrivato fino al cadavere nessuno avrebbe dubitato di lui.
Proseguiamo. Il massacro della mattina si conclude sulle scale della cantina, Chiara è bocconi sui gradini, l’assassino per sferrarle l’ultimo colpo l’afferra alle spalle con le dita intrise del suo sangue. E lascia impronte digitali e macchie di sudore da cui ricavare il Dna. Possibile che non abbia previsto i guanti? E nel caso abbia agito a mani nude, perché non ha poi sfilato la maglietta della vittima? Impossibile non si sia accorto della manata, se non altro perché il sangue, appiccicoso, avrebbe fatto effetto «cerotto» sul tessuto.
Rimangono infine le chiamate dal suo cellulare: l’ultima a Chiara quando sta entrando nella sua villetta e quella al 118
quando ne è uscito. Sei minuti, un tempo considerato sospetto perché «troppo lungo». Mentre dovrebbe insospettire un tempo «troppo corto», quello che avrebbe usato l’«assassino» Alberto per limitarsi a «fingere » di entrare. E come sottovalutare la mancanza di movente. E che dire dell’atteggiamento difensivo dei Poggi? Possibile che la mamma Rita non abbia mai avuto sentore di una crisi tra i due? Troppi «perché» senza risposta, per portare un ragazzo in Corte d’Assise.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.