«Contro l’Iran non esclusa l’opzione militare»

Ahmadinejad ordina di sospendere la collaborazione con l’Aiea

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Viene da Washington l’ultima bordata nella escalation sull’Iran nucleare. È il monito del ministro della Difesa americano Donald Rumsfeld, affidato all’intervista con il quotidiano tedesco Handelsblatt: «Tutte le opzioni sono sul tavolo, compresa quella militare». In sé non ci sarebbe molto di nuovo. Washington lo ha già fatto sapere in un paio di altre occasioni durante questa crisi ed è comunque parte della strategia generale decisa da Bush. Tuttavia è maggiore l’attualità ed è anche più aspro il tono, soprattutto perché Rumsfeld non si è limitato a entrare nel merito ma è tornato a stabilire un collegamento non «tecnico» fra i programmi nucleari di Teheran e l’atteggiamento del suo regime nei confronti di Israele: «Qualsiasi governo che affermi che lo Stato ebraico non ha diritto di esistere fa una dichiarazione di intenti per il futuro». Una formula deliberatamente elastica, in modo da includere nel monito anche il futuro governo di Hamas in Palestina, in parziale contrasto con la disponibilità annunciata da Israele a prendere in esame la possibilità di continuare l’assistenza economica ai Territori anche col nuovo governo.
Ma l’Iran è soprattutto «la bomba» o la paura della bomba e le ultime ore hanno visto un’escalation di intransigenza da ambo le parti. Prima il Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha votato a grande maggioranza, dopo un lungo dibattito, il documento voluto dagli Stati Uniti con cui si deferisce l’Iran al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che dovrà esaminarne il «dossier nucleare». Subito dopo il governo di Teheran ha annunciato di sospendere, come rappresaglia, «ogni forma di collaborazione volontaria con la Aiea»: «Ci hanno lasciato soltanto la scelta fra la resistenza e la resa e abbiamo scelto la resistenza». Come misura collaterale l’Iran si prepara a proclamare il boicottaggio di numerosi prodotti commerciali americani, inclusa la Coca Cola e a Washington si moltiplicano le «opinioni» e le pressioni per un intervento militare o almeno per una azione diretta per il rovesciamento del regime.
Degli spiragli sono tuttavia aperti da ambo le parti. La formula varata dall’Aiea è infatti di compromesso, se non altro perché contiene la «sospensione» del provvedimento per un mese: l’Iran ha tempo fino al 6 marzo per riprendere una collaborazione e in questo caso anche la riunione del Consiglio di sicurezza sarebbe rinviata. Non è la formula preferita dagli europei, che avrebbero voluto inserire il caso Iran in un auspicio generale alla denuclearizzazione del Medio Oriente, ma non è neanche l’ultimatum secco. Il documento è stato approvato da 27 Paesi su 35. Fra i pochi voti contrari quelli di Cuba e del Venezuela. La Russia e la Cina hanno finito con l’aderire pur riservandosi, soprattutto Mosca, di riprendere la loro libertà di azione e di mediazione. Il ministro della Difesa Mosca Sergei Ivanov ha detto di dubitare che eventuali sanzioni possano avere effetto sull’Iran e il Cremlino ha confermato che continuerà ad aiutare il Paese nella costruzione di una stazione atomica, mentre l’azienda petrolifera russa Lukoil continuerà a investire nei giacimenti petroliferi iraniani. Resta in piedi la proposta di Putin di trasferire in territorio russo le attività di arricchimento dell’uranio, con una garanzia così di separazione fra le attività civili e quelle militari. I negoziati in proposito riprenderanno già fra dieci giorni. La posizione della Cina è analoga e rimane quindi intatta la possibilità di una linea comune fra i due grandi vicini dell’Iran, alternativa e competitiva con quella dell’Occidente.
«Adottare la politica della resistenza - ha precisato il ministro degli Esteri iraniano - non equivale a respingere il dialogo. La porta del negoziato è ancora aperta. Se si finirà davanti al Consiglio di sicurezza non sarà la fine del mondo. Abbiamo pronte delle soluzioni per ogni eventualità e deferire l’Iran all’Onu danneggerà la controparte più che noi». Teheran potrebbe fare infatti ricorso a una limitazione della produzione o dell’esportazione del petrolio, che ne farebbe salire ulteriormente il prezzo in un mercato internazionale già molto teso.

Per lo stesso motivo c’è, anche in Occidente, chi rilutta a sanzioni delle Nazioni Unite. Solo il cancelliere tedesco finora si è allineato con i «falchi» di Washington, ma già il ministro degli Esteri tedesco ha attenuato i toni e invitato Teheran a «non optare per alcuna reazione troppo frettolosa».

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