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Controrazzismo nel tennis

Il problema per Francesca Schiavone è stato quello di essere del colore sbagliato. Certo, c’era Venus Williams dall’altra parte della rete nella notte italiana del tennis, ma soprattutto c’era papà Richard sugli spalti. Cioè l’uomo che ha teleguidato la carriera dei due suoi fenomeni - Serena un po’ più di Venus - con un unico obbiettivo: la rivincita.
Francesca ha lottato contro pronostico in un quarto di finale che ha fatto comunque storia, perché mai un’italiana si è trovata così in alto negli UsOpen con uno Slam già in bacheca. E per Francesca, dopo l’incredibile trionfo al Roland Garros, tutto quello che viene è solo una gioia in più. Ma la battaglia delle trentenni che ha acceso il campo centrale di Flushing Meadows, aveva un motivo in più per Richard Williams, non a caso nello stadio dedicato ad Arthur Ashe. «Perché il tennis è uno sport razzista che odia i neri. Così com’è vero che io odio i bianchi».
Insomma, questo è l’uomo che ha cambiato il tennis femminile, l’uomo che tutti salutano in giro per i tornei del mondo, l’uomo a cui tutti chiedono un autografo o un parere ricevendo in cambio un sorriso sinistro. Questo è il papà di Venus (e di Serena), a cui non è bastato uscire dal ghetto per costruirsi - attraverso i suoi sacrifici e il talento delle figlie - un futuro tranquillo da colored con il conto in banca dorato. E diventare l’orgoglio di un’America che grazie a loro, i ricchi e neri, cerca di cancellare il suo eterno senso di colpa. No, a Richard Williams non è bastato, se è vero che ancora oggi lui dice «sono nato in America per caso, ma non mi sento americano», ma soprattutto che ancora adesso vede il mondo diviso in bianco e nero. E dove gioca lui il bianco perde sempre.
Così ecco, quando non c’è Serena va avanti Venus, e Francesca Schiavone sa quanto è dura imbattersi in una di loro, visto che prima di stanotte ci aveva perso sette volte su sette. E soprattutto ecco perché Richard, adesso che le due figlie vanno verso la pensione tennistica, ha in testa un’altra idea meravigliosa: «Si può diventare buoni solo se c’è un sistema alle tue spalle, e non davanti a te. Un sistema che spesso ti ostacola e ti impedisce di diventare qualcuno. Le istituzioni che potrebbero aiutare i neri si rifiutano di farlo, penso che spingano per tenerci lontani dal tennis». E appunto allora l’idea è questa: prendere un terreno in Texas - «100 acri dovrebbero bastare» - e costruirci sopra un’accademia del tennis solo per i neri. «Perché se tu giri mille accademie negli Stati Uniti, quanti atleti neri troverai? Semplicemente non ci sono perché non li vogliono. Non è che ci disprezzano, semplicemente non vogliono che nasca una nuova Venus o una nuova Serena».
Forse è così, chi vince troppo dà fastidio, e le Williams - nere o bianche che siano - non piacciono a tutti. Ma di più a molti non piace uno come Richard, e non è una questione di razza, anche se a lui il sospetto non verrà mai. È vero, ha regalato alle figlie una vita che andrà oltre la rete. Ma se davvero un giorno nascerà un’accademia Williams fatta per un colore solo, Richard scoprirà forse di aver preso la strada sbagliata.

Perché alla fine di tutto si ritroverà di nuovo chiuso in un ghetto.

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