Convegno su editoria e media

nostro inviato a Borgo la Bagnaia (Siena)

Un nuovo libro per la mondadoriana Einaudi, nonostante le scintille tra l’autore-feticcio e i vertici del gruppo che lo ha sotto contratto da Gomorra in poi. Ad annunciarlo è direttamente l’amministratore delegato di Mondadori, Maurizio Costa, il quale sembra piuttosto sicuro che Roberto Saviano possa restare un autore della scuderia Mondadori («ho ragione di credere che il percorso iniziato possa continuare»). Non sarebbe né il primo né l’ultimo caso, peraltro, di scrittore «fuori linea» rispetto al dna del gruppo di Segrate, un’eccentricità che riguarda un elenco «molto lungo di altri nostri autori, partendo da Eugenio Scalfari (che pubblica con Einaudi, ndr) che, com’è noto, è su posizioni molto critiche» rispetto all’attuale maggioranza, ha spiegato Costa durante la tavola rotonda sul ruolo dei media «tra società e istituzioni» (insieme al presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, Giuseppe Mussari, presidente Mps e Abi e al vicepresidente di Unicredit, Fabrizio Palenzona) organizzato dall’Osservatorio permanente giovani editori guidato da Andrea Ceccherini, nel consueto convegno di Borgo la Bagnaia, vicino a Siena.
Saviano «non ha mai detto e non ha dichiarato che non è più un autore Mondadori», e l’aver pubblicato un libro con una casa editrice diversa (Feltrinelli) non è di per sé prova di niente, perché ci sono altri autori, come per esempio Andrea Camilleri, che pubblicano con diversi editori senza abbandonare quello principale. L’«infedeltà» politica non è un problema per un gruppo privato che risponde in primis al mercato, dal momento che la Mondadori «è un’azienda quotata in borsa e quindi il nostro padrone è il mercato. Al mercato dobbiamo dare conto in termini di risultati» ha spiegato l’ad Mondadori.
Una linea che Fedele Confalonieri ribadisce per Mediaset, rispondendo a una domanda sugli effetti del conflitto di interesse per il broadcaster di Cologno Monzese. «A noi crea una difficoltà in più - spiega Confalonieri -. Se fai il tuo mestiere di buon informatore, di buon intrattenitore, di buon creatore di fiction e così via, c’è sempre un alone intorno», di chi dice «c’è la protezione del governo». «Ma ricordo - prosegue Confalonieri - che siamo una società quotata in borsa; questo signore ha più di un terzo del capitale, ma tu devi rendere conto all’altro 65 per cento, che spesso è fatto di stranieri e piccoli imprenditori, quindi tu non puoi deteriorare il tuo prodotto perché vuoi favorire l’azione politica di questo signore. Possiamo magari aver uno che suona il violino più di tutti, ma gli altri devono fare l’informazione così come la si fa. Il nostro vero padrone è il consumatore finale».
Va quindi rovesciato il paradigma secondo cui le reti Mediaset avrebbero creato un modello culturale, un sistema di valori (deleteri, secondo la vulgata intellettuale) capace di plasmare l’opinione pubblica italiana. «Semmai l’ha fatto la tv commerciale - replica Confalonieri -. La televisione pubblica di 50 anni fa aveva la cultura classica, le commedie ogni settimana, l’opera una volta al mese, ed è quella che ha formato la mia generazione. Ma quella tv lì con la commerciale finisce, perché il pubblico è il tuo interlocutore, è il pubblico che condiziona. Prima c’era l’élite che diceva: “tu vedi questo, quest’altro...”. Le tv commerciali seguono l’utile, e quindi i gusti dell’audience, però sminuire questo come se fosse un qualcosa che ha influenzato negativamente il “popolo”, io non credo sia vero.

La gente è smaliziata, alla fine se non gli dài il prodotto giusto ti abbandona. La cosa fondamentale è che c’è libertà di scelta, esiste il telecomando». E, in parallelo, la libertà degli editori di tenersi stretti gli autori «fuori linea» ma amati dal pubblico.

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