nostro inviato a Venezia
Con Somewhere di Sofia Coppola, ieri la Mostra del cinema di Venezia ha trovato una sicura candidata al Leone d’oro o almeno a un riconoscimento importante. Molte pellicole devono ancora passare qui al Lido, ma il film che narra la vicenda di Johnny Marco, superdivo di Hollywood che entra in una profonda crisi appena spunta dal passato la sua figlia undicenne, è di gran lunga il più convincente di quelli visti finora. Per la trentanovenne regista già premio Oscar per lo script di Lost in translation è stata una giornata di applausi, iniziata alla proiezione mattutina per i giornalisti, proseguita nell’affollatissima conferenza stampa e conclusa alla proiezione serale in sala Grande.
Minuta, semplice e quasi intimidita dalla raffica di domande - e magari anche dall’ingombrante cognome - la figlia d’arte più celebre di Hollywood si è proposta con lo stesso stile minimal che contraddistingue la sua opera numero quattro, dopo Il giardino delle vergini suicide, Lost in translation e Marie Antoinette.
Protagonista di Somewhere, uscito ieri in 250 sale («L’Italia è il primo Paese che lo ha in programmazione», ha detto con una punta di orgoglio Giampaolo Letta, vicepresidente di Medusa), è un attore all’apice del successo (interpretato da Stephen Dorff) che vive nel celebre hotel Chateau Marmont, dove le star sono di casa. Lui è un vincente: gira in Ferrari, una 458 nera, e ad ogni angolo trova ragazze pronte ad accoppiarsi senza bisogno di troppi preamboli.
Ma la sua giornata è già minata dalla solitudine: lo si vede apatico sul divano della suite tra alcol e qualche pasticca, oppure depresso dal primissimo piano che esce dallo specchio. Però si può sempre animare la serata, chessò, con due miagolanti gemelline strippers perfette per stimolare le prestazioni. Quando l’ex moglie si affaccia con Cleo, la figlia undicenne (Elle Fanning) da accudire durante un suo viaggio, lo smottamento esistenziale accelera rapidamente.
Film autobiografico? «Certo, in quella bambina c’è una parte di me e del rapporto con mio padre», conferma Sofia Coppola, figlia di Francis Ford. «Alcune scene, come quelle in cui lei impara il gioco d’azzardo al casinò o il viaggio a Milano per i Telegatti, le ho vissute davvero. Ma lui era diverso dal protagonista del film. Con questo film ho voluto mostrare il contrasto tra il mondo dello show business e il mondo della figlia». Un contrasto reso in modo magistrale con l’incerto balletto sui pattini di Cleo che segue di poco la lap dance delle due strippers.
La Ferrari, le feste, i set fotografici e gli amplessi non bastano più. E in conferenza stampa per il nuovo film, alla domanda capitale «chi è Johnny Marko?» segue il silenzio. Arriva anche il viaggio in Italia insieme con Cleo per ritirare il Telegatto, altro dovere da superdivo. Ecco Simona Ventura, Nino Frassica, Maurizio Nichetti, Valeria Marini e una Laura Chiatti che reclama notti bollenti: tutto sul filo del provincialismo. Non resta che la fuga liberatoria verso casa. Un giudizio negativo sulla tv italiana? «No. Non volevo assolutamente offendere la qualità della vostra televisione», assicura la regista. «Credo che ormai lo show business e le tv con i suoi premi siano uguali in tutte le parti del mondo». E in ogni caso, offendersi servirebbe a poco. Anche alla conferenza stampa di ieri metà delle domande sono state sulle donne registe, sulle Ferrari, su cosa pensa di Venezia…
Signora Coppola, le propongo una citazione: «Che giova all’uomo conquistare il mondo se poi perde se stesso? Che darà l’uomo in cambio di sé?». Johnny Marko sembra avere in mano tutto, ma di fronte alla figlia non sa più chi è e che cosa può darle.
«Il personaggio di questo film è apparentemente realizzato», risponde la regista «ma in verità è intriso di superficialità e s’incammina verso l’autodistruzione. E quando si trova di fronte alla figlia, una persona reale e concreta, cambia».Grazie per questo film.
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