Il coraggio di saltare un giro

Lo so che il processo per la scalata di Giampiero Fiorani ed altri furbetti ad Antonveneta dovrà percorrere ancora molta strada prima d’approdare a quella sentenza definitiva che solo consente di definire colpevole un colpevole; lo so che gli episodi d’affarismo avventuriero sono sempre un garbuglio inestricabile; lo so che l’essere d’accordo, sia pure su un solo punto e in una sola occasione, con il giustizialista ruspante Antonio Di Pietro, costituisce se non proprio reato almeno colpa grave. Ma la vicenda che ha coinvolto tra gli altri l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio e i suoi amici di prebende mi ha suggerito qualche riflessione legata ai precedenti «lo so».
La storia o storiaccia della singolar tenzone tra la Banca Popolare Italiana e l’olandese Abn Amro ha avuto sicuramente risvolti torbidi. Solo così si spiega il ricorso di parecchi imputati - lo stesso Fiorani, e poi Consorte, Sacchetti, Emilio Gnutti, Stefano Ricucci, Danilo Coppola - al patteggiamento: grazie al quale alcuni tra loro sono usciti definitivamente dal processo, e altri hanno potuto ridimensionare le accuse. Una storia o storiaccia politicamente trasversale. Giovanni Consorte era il numero uno delle cooperative rosse, il governatore era simbolo dell’Italia «bianca», odorosa d’incenso.
Fazio non si è piegato ad alcun compromesso, vuole il processo. E questo vale anche per un notabile di Forza Italia che gli è stato e gli è vicino, Luigi Grillo. Già senatore nella precedente legislatura, Grillo è stato rieletto a Palazzo Madama nelle politiche del 13 e 14 aprile. Di Pietro, alfiere della crociata contro i politici «indagati», ha già chiesto che Grillo lasci lo scranno parlamentare. Ma il parlamentare non ci pensa proprio. La presunzione d’innocenza, d’accordo, è un dogma giuridico. E Tonino da Montenero di Bisaccia non dovrebbe infierire sulle eventuali spregiudicatezze altrui essendosene concessa più d’una. Tuttavia la mia sommessa domanda è questa: essendo in corso un’indagine penale con responsabilità già accertate, non era meglio soprassedere alla candidatura di Grillo? E, una volta decisa la candidatura e avvenuta l’elezione, non era meglio evitare la sua nomina a presidente della commissione Lavori pubblici del Senato? Può essere che un Senato cui manca Luigi Grillo risulti dequalificato, e che la citata commissione possa trovare unicamente in lui il capo perfetto.

Ma forse bisognava farsi forza, e vincere l’ambascia. La classe politica non gode d’un prestigio a 24 carati, la si sospetta di coinvolgimenti loschi d’ogni genere. La prudenza consiglia di non dare materiale alle male lingue: non aspettano altro.

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