Politica

Il corista dei festini gay e il «gentiluomo» Balducci cacciati dal Vaticano

Dimissioni ed espulsioni. Il carosello delle intercettazioni si mescola ai nuovi passaggi dell’inchiesta sulla cricca di Angelo Balducci. E anche la Santa Sede è costretta a scendere in campo. La pietra d’inciampo è il corista nigeriano Thomas Ehiem che avrebbe gestito un giro di prostituzione maschile per conto di Balducci. Nella babele dei brogliacci passava per religioso o seminarista, forse perché cantava le suggestive liturgie gregoriane nel coro di San Pietro. Più precisamente, era una delle voci della prestigiosissima Cappella Giulia, un’istituzione dal quinto secolo, un pezzo di storia della musica con direttori nel tempo come Pierluigi da Palestrina e Domenico Scarlatti. Ora Ehiem non canta più e non ha più un posto davanti al leggio.
È stato cacciato nel giro di una mattinata e fonti della Santa Sede fanno sapere che «non è un religioso e nemmeno un seminarista». Insomma, è un laico che aveva finito per sembrare quel che non era a causa degli ambienti frequentati. Ora il possibile equivoco è risolto alla radice. «Sembrava una persona perbene», spiega all’Ansa un ecclesiastico che non è affatto convinto della colpevolezza dell’africano. E però, l’imbarazzo dei Sacri Palazzi è, come dire, double face, perché pure Balducci è molto stimato in Vaticano, è un personaggio chiave del Giubileo del 2000 e da molti anni è addirittura Gentiluomo di Sua Santità. Ora, i dialoghi, finiti nel calderone dell’inchiesta, fra il corista e Balducci col primo che decanta al secondo le caratteristiche fisiche di alcuni ragazzi italiani e stranieri aggiungono un tocco di squallore ad un’indagine che non si fa mancare nulla. Anche quel che non c’entra niente con i grandi appalti sotto la lente d’ingrandimento dei pm. Presto, il nome di Balducci verrà cancellato dall’elenco dei membri della famiglia pontificia. «Balducci mi è sembrato particolarmente depresso, quasi estraneo a quanto gli accade intorno», racconta Melania Rizzoli, deputato del Pdl che l’ha incontrato a Regina Coeli.
Ma questo è solo uno dei tanti capitoli della maxi inchiesta nata a Firenze e che ha travolto molte persone. Nella stessa giornata in cui incrocia Melania Rizzoli, Balducci, ormai solo ex presidente del Consiglio nazionale dei lavori pubblici, viene ascoltato dalla magistratura di Perugia, la città in cui sono stati dirottati gran parte degli atti per via del coinvolgimento dell’ex - in questa inchiesta gli ex aumentano con ritmo quotidiano - procuratore aggiunto di Roma Achille Toro. Balducci, il perno di quel sistema gelatinoso descritto dalla magistratura fiorentina, viene accompagnato da Franco Coppi, uno dei più noti penalisti italiani. Alla fine dell’interrogatorio, Coppi è soddisfatto: «Ha risposto in modo convincente ed esaustivo e ha respinto le accuse». Attenzione: quello del gip di Perugia era l’interrogatorio cosiddetto di garanzia, dunque solo un primo snodo come previsto dal codice, perché l’indagine è appena ripartita in Umbria. Coppi è comunque ottimista, il giudice si pronuncerà entro lunedì sulle richiesta di revoca delle misure cautelari avanzate proprio da Balducci, da Mauro Della Giovampaola e da Diego Anemone, l’imprenditore ben inserito nella cricca che invece si è avvalso della facoltà di non rispondere e ha fatto scena muta.
Lontano dalla cricca vuol rimanere il generale Nicolò Pollari, ex direttore del Sismi. Alcuni quotidiani mettono in pagina frammenti d’intercettazioni da cui si ricaverebbe che Pollari ha incontrato il solito Balducci il 21 maggio 2009. «La notizia - scandisce secco Pollari - è destituita di ogni fondamento». Intercettazioni e interpretazioni.
È un dramma con tanti quadri quello che va in scena in queste ore. E nella capitale si consuma l’ultimo atto del caso Toro. Il plenum del Consiglio superiore della magistratura accoglie all’unanimità le fulminee dimissioni di Toro e omologa il suo addio alla toga. L’ormai ex magistrato è rimasto invischiato nell’indagine insieme al figlio Camillo e alla fine ha gettato la spugna. Impossibile rimanere. Così se ne va, di corsa, fra brogliacci e avvisi di garanzia. Formalmente, si tratta di un collocamento a riposo per anzianità, ma la sostanza non cambia. Per la magistratura romana, si chiude una brutta storia che ha avvelenato anche i rapporti con Firenze.

E alcuni avvocati, accorsi al capezzale degli arrestati per l’inchiesta Fastweb, quella di Silvio Scaglia e dell’ormai ex senatore Nicola Di Girolamo, avanzano il sospetto che quell’indagine, venuta allo scoperto il 23 febbraio scorso, sia stata usata come biglietto da vista dai giudici della capitale per offrire una nuova immagine.

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