Milano - Ottanta giorni di carcere «vomitati» davanti alle telecamere. Fabrizio Corona esce da San Vittore, due mesi e mezzo l’arresto. Venti minuti alle sei, si apre il cancello della casa circondariale. Occhiale scuro, sfogo tagliente. La detenzione? «Una vergogna, sono un ostaggio dello Stato». Woodcock? «Un talebano». E ora? «Ora sono c... amari per tanti». Ipse dixit.
Abbronzato, nemmeno fosse reduce da una vacanza esotica, atletico sempre - anche se visibilmente smagrito -, maglietta senza maniche a mostrare bicipiti e tatuaggi. Capelli neri tirati a lucido, e raccolti a coda. Al collo, la foto del figlio Carlos. E, immancabile, il marchio: «Corona’s», in caratteri sfavillanti ricamati sulla t-shirt. Business is business, comunque e sempre.
Il tribunale di Potenza ha concesso al «re» dei paparazzi gli arresti domiciliari. Il giudice per le indagini preliminari di Milano, il primo a decidere nei giorni scorsi, aveva optato per l’obbligo di dimora. E altrettanto avevano fatto i giudici di Torino e Roma. Il succo cambia di poco. Corona, al centro di quattro inchieste su presunte estorsioni a danni dei vip ed episodi di spaccio di sostanze stupefacenti, torna «quasi-libero». E prima di riparare in casa, mette in scena un piccolo show.
Primo, l’esperienza da recluso. «Quello che ho subito in questi ottanta giorni di carcere è vergognoso». Responsabili, «lo Stato», e soprattutto «la Procura di Potenza». Poi, via un sasso (enorme) dalla scarpa. Perché «quello che ho subito oggi, ancora, sempre dalla Procura di Potenza (solo i giudici lucani hanno mantenuto la misura di custodia cautelare, ndr), è ancora più vergognoso: mi sono sentito ostaggio di un talebano di nome Woodcock, che in cambio voleva solo fama e popolarità».
Quasi con rabbia, promette che «tra poco sarò libero perché ancora non lo sono, e allora potrò dire le mie verità alle persone giuste nelle sedi opportune e allora saranno cavoli amari per tutti quanti». Dagli strali di Corona si salva il pubblico ministero milanese, Frank Di Maio. «È una persona seria e onesta».
Infine, un pensiero alla famiglia. «Ringrazio mia madre per tutto quello che ha fatto; mio padre che mi ha protetto da lassù e mi ha dato la forza per resistere. Ora vado a casa da mio figlio che per ottanta giorni è stato privato ingiustamente del padre».
Sale in auto. Meglio, sale sulla sua Bentley nera. Con lui, gli avvocati Giuseppe Strano Tagliareni e Manuela Marcassoli. Per un istante sembra cedere all’emozione, si ricompone in un attimo. Sotto casa, ad aspettarlo, la madre Gabriella, il fratello Federico. Manca l’ex moglie Nina Moric perché, come ha dichiarato a Chi, «lo amo ancora ma ho paura del suo ritorno a casa, se ci penso mi viene il mal di pancia. Il nostro è un legame malato, guardandolo dovrò affrontare la realtà».
E ovviamente arriva Lele Mora, come fosse due mesi e mezzo fa. Corona, Mora, i flash, le telecamere, l’odio-amore con Nina, l’essere sopra le righe a tutti i costi e chissenefrega se è la tv, un tribunale o il carcere. Ottanta giorni dopo. Tutto come prima, niente come prima.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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